Lo dice, a ilfattoquotidiano.it, il responsabile Dismissione impianti di Sogin Emanuele Fontani. L'azienda di stato gestisce dal 2003 il decommissioning del sito nucleare lucano, dove il 13 aprile la Procura ha sequestrato le tre vasche per la raccolta delle acque. Contestualmente, è stato previsto l'obbligo di trattare i liquidi contaminati prima dello scarico in mare, ma su chi lo farà ancora non ci sono ancora dati certi
Per depurare le acque contaminate da cromo e trielina dell’area Itrec di Rotondella “non mi sento di poter né confermare né escludere Tecnoparco”. Lo dice, a ilfattoquotidiano.it, il responsabile Dismissione impianti di Sogin Emanuele Fontani. L’azienda di stato gestisce dal 2003 il decommissioning del sito nucleare lucano, dove il 13 aprile la Procura ha sequestrato le tre vasche per la raccolta delle acque. Contestualmente, è stato previsto l’obbligo di trattare i liquidi contaminati prima dello scarico in mare, ma su chi lo farà ancora non ci sono ancora dati certi. La risposta della Sogin non tranquillizza però i timori degli ambientalisti: il loro pensiero, infatti, era andato subito proprio alla Tecnoparco, azienda situata vicino a Itrec, ma finita sul banco degli imputati nel processo Petrolgate per un presunto traffico illecito di rifiuti.
Nell’impianto Itrec di proprietà dell’Enea, le acque della falda sottostante vengono drenate per evitare il contatto con i materiali radioattivi stoccati in una “piscina”. Si tratta di 64 barre di uranio arrivate qui negli anni Settanta dalla centrale statunitense di Elk River, su cui le attività si sono interrotte dopo il referendum del 1987. Ma se il pompaggio dell’acqua rimane inevitabile per scongiurare una contaminazione radiologica, adesso si dovrà far fronte a quella chimica. Fino ad oggi queste acque venivano scaricate in mare senza alcun trattamento, mentre adesso la Procura ha previsto l’obbligo per i responsabili degli impianti di “adottare le misure indispensabili a tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini”. Significa che le acque andranno trattate per abbattere la contaminazione da cromo esavalente e trielina, ma da chi? “In questo momento stiamo valutando il trattamento più opportuno, ma soprattutto più celere, da poter realizzare in brevissimo tempo. Potremmo scegliere un sito terzo o realizzare noi un impianto mobile”, dice a ilfattoquotidiano.it Fontani. Tra questi, uno degli impianti papabili potrebbe essere proprio Tecnoparco, tra gli imputati insieme a Eni e un’altra cinquantina tra persone e società nel processo Petrolgate. Uno dei filoni dell’inchiesta riguarda proprio un presunto traffico illecito di rifiuti tra il Centro oli Val d’Agri (Cova) di Eni a Viggiano e la Tecnoparco di Pisticci, impresa di servizi che ha anche un impianto per il trattamento di reflui industriali. “Stiamo valutando tutti gli impianti partendo da quelli più vicini. Oggi non mi sento di poter né confermare né escludere Tecnoparco. La decisione dipenderà anche dalle valutazioni sul fronte autorizzativo che stiamo svolgendo in questi giorni con le istituzioni”, aggiunge Fontani. A far propendere per questa scelta potrebbe essere lo stesso assetto societario dell’azienda, dove, come evidenziato anche da una recente interrogazione dell’eurodeputato lucano Pier Nicola Pedicini, il socio di maggioranza con il 40% delle quote è un ente pubblico della Regione, il Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Matera.
La prima notizia di una contaminazione chimica della falda nell’aria Itrec è stata comunicata dalla stessa Sogin nel 2015. Idrocarburi con concentrazioni fino a 500 microgrammi per litro contro il limite di 350, livelli di trielina tra 18 e 91 microgrammi per litro, a fronte di un limite di 1,5. E ancora, presenza di cromo esavalente doppia rispetto alla soglia in un punto di osservazione: 9,4 microgrammi per litro contro il limite di 5. E livelli altissimi erano stati osservati anche per organoalogenati cancerogeni, a livelli tra 18 e 91 microgrammi per litro contro il limite massimo di 10. L’origine della contaminazione da cromo e trielina sarebbe lo stabilimento ex-Magnox, anch’esso all’interno del sito nucleare, ma fermo da oltre vent’anni: in passato produceva combustibile nucleare e utilizzava le due sostanze chimiche nei suoi processi industriali. Non è chiaro perché, in questo quadro, l’indagine della Procura sia iniziata solo nel 2017, per arrivare al sequestro delle vasche quasi tre anni dopo le prime notizie di contaminazione della falda. “In questi anni è iniziato l’iter per la bonifica, che però non c’è ancora stata”, spiega Giovanna Bellizzi, avvocatessa della vicina Policoro e rappresentante dell’associazione Mediterraneo no scorie. Nel frattempo è emerso anche un inquinamento più grave di come appariva all’inizio: “La contaminazione chimica si è estesa all’esterno del perimetro Enea, sia per la matrice suoli che per le falde che annoverano altro inquinanti non presenti in falda ma rilevati da Arpab e Sogin nella matrice suoli (vanadio, berillio e tallio), interessando un’ampia zona abitata e a prevalente vocazione agricola”, ha scritto a dicembre scorso un gruppo di consiglieri comunali di Policoro e di rappresentanti di due associazioni (Mediterraneo no scorie e Cova contro) nell’ultimo esposto presentato per chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria.
E proprio l’inquinamento e i suoi possibili effetti sulla salute rimangono la parte che più preoccupa chi vive nell’area. “Ci hanno sempre detto di non temere nulla, perché qui non può accadere l’ordinario, figuriamoci lo straordinario. Invece negli anni si sono susseguiti numerosi incidenti e sono emerse gravi contaminazioni”, aggiunge Bellizzi. Con quali effetti sulla salute non è facile dirlo. Nel 2015 l‘Istituto superiore di sanità ha pubblicato uno studio epidemiologico sui territori che ospitano i siti nucleari, da cui sono emerse alcune anomalie: “Nel comune di Rotondella la mortalità per le malattie dell’apparato digerente è risultata in eccesso, rispetto alla mortalità media della popolazione regionale”, insieme a eccessi per tumore alla tiroide, al fegato, alla vescica, spiega la ricerca. Il punto però è che, come ammette lo stesso studio, la popolazione analizzata è esigua. “Per avere risultati più certi sarebbe stato necessario un approfondimento mai fatto. Lo studio si è concentrato solo sull’abitato di Rotondella, a 8 chilometri dal sito, e non su quello di Policoro, che invece dista solo 4 chilometri dall’Itrec”, fa notare Gian Paolo Farina dei Medici per l’ambiente e dell’associazione Cova Contro. Nessuna ricerca è stata fatta invece sugli impatti degli inquinanti chimici, che invece sono molto pericolosi: il cromo esavalente, tra tutti, è considerato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) tra i metalli cancerogeni certi per l’uomo.