Per loro è “come un santo, come Padre Pio“. Per gli altri, quelli che lo cercano, è invece un “latitante mobile“, diverso dalle tante primule rosse del passato. E infatti ora si ha la conferma che Matteo Messina Denaro si sposta: è stato in Calabria. Sullo sfondo dell’ultima operazione della procura di Palermo spuntano dunque anche i possibili contatti tra il boss di Castelvetrano e la ‘ndrangheta, come hanno ipotizzato in passato alcuni collaboratori di giustizia.

L’indagine, che ha portato al fermo di 21 tra boss e fiancheggiatori di boss trapanese, ha consentito di individuare la rete di smistamento dei pizzini con i quali Messina Denaro dava gli ordini agli affiliati. Ma non solo. Perché ascoltando le intercettazioni gli inquirenti hanno sentito anche frasi pesantissime sul piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e poi sciolto nell’acido: “Hanno fatto bene“.

Fermati cognati del boss: “Latitanza finanziata con scommesse” – Coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e da un nuovo pool di pm – Claudio Camilleri, Gianluca De Leo, Francesca Dessì, Geri Ferrara, Carlo Marzella e Alessia Sinatra – l’inchiesta ha portato in carcere anche due cognati del boss: si tratta di Gaspare Como e Rosario Allegra, i mariti di Bice e Giovanna Messina Denaro. Secondo gli inquirenti, sono stati proprio loro a organizzare la latitanza di Messina Denaro cominciata 25 anni fa. Oggi, invece, è Como il reggente del mandamento di Castelvetrano dopo un periodo di interregno conseguente agli arresti effettuati nel dicembre 2013 e agosto 2015. I pedinamenti, gli appostamenti e le intercettazioni dei carabinieri hanno ribadito come Cosa nostra eserciti un controllo capillare del territorio e ricorra sistematicamente alle intimidazioni per infiltrare il tessuto economico e sociale, compresi i settori dell’eolico, delle scommesse e le aste giudiziarie per riprendersi i beni sequestrati. Non a caso tra le persone coinvolte nell’inchiesta c’è il  “re dei giochi di Trapani“, Carlo Cattaneo, 33enne di Castelvetrano accusato di finanziare la latitanza dell’ultima primula rossa di Cosa nostra. 

Messina Denaro “era in Calabria” – A essere interessanti, però, sono soprattutto le intercettazioni. Uno degli indagati, per esempio, in una conversazione rivela che Messina Denaro “era in Calabria ed è tornato”. Chi parla aggiunge che al suo ritorno il padrino di Castelvetrano avrebbe incontrato “cristiani“: è il modo usato dai mafiosi per definire gli affiliati all’associazione criminale. Sono in due a parlare, commentano il contenuto di un pizzino in cui ci sarebbero state scritte le decisioni del latitante su alcuni temi. Il biglietto non è stato trovato dagli inquirenti che intercettavano il dialogo: Messina Denaro, infatti, ha ordinato ai suoi di distruggere sempre i pizzini. “Nel bigliettino è scritto lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso, quello ha detto“. Dalla conversazione viene fuori che la madre di Messina Denaro si lamenta dell’assenza del figlio. “La madre di Matteo… che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere… vorrei vedere a te. Non gli interessa niente di nessuno”.

“Deve stare lontano dagli affetti” – Questo dimostra, spiega l’aggiunto Guido, che il boss “ha difficoltà ad avere rapporti con il suo ‘cuore pulsante‘, cioè le persone che più gli stanno vicine. Tra cui i parenti“. E, continua, “con questa indagine siamo arrivati davvero vicino al cuore del latitante nel senso letterale in quanto sono stati colpiti col fermo anche componenti della sua famiglia come i suoi cognati”. Il comandante del Ros di Trapani, il generale Pasquale Angelosanto, aggiunge: “Tutta la provincia è saldamente nelle mani di Messina Denaro”. “È un latitante che sta sul territorio ma nel tempo si è anche spostato. Per questo le sue ricerche sono difficili“, continua il procuratore Francesco Lo Voi in conferenza stampa. “Cosa nostra trapanese è particolarmente vitale e attiva nel controllo del territorio”, ripetono tutti i presenti. “Queste indagini sono molto importanti perché hanno permesso di intervenire sui principali ‘colonnelli’ del boss latitante”, spiega Alessandro Giuliano, a capo del Servizio centrale operativo della polizia di Stato.

Giovanni Mattarella

Le frasi sull’omicidio Di Matteo – Altra intercettazione, altro argomento. Gli intercettati parlano della vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, rapito, tenuto sotto sequestro per 779 giorni, ucciso e sciolto nell’acido nel 1996 per indurre il padre a ritrattare. La conversazione è del 19 novembre del 2017. “Allora ha sciolto a quello nell’acido, non ha fatto bene? Ha fatto bene“, dice uno dei presunti mafiosi poi fermati dalla Dda di Palermo. “Se la stirpe è quella… suo padre perché ha cantato?”, gli replica l’interlocutore. E il primo continua, esaltando la decisione di uccidere il bambino di 15 anni come giusta ritorsione rispetto al pentimento del padre, colpevole ai loro occhi di avere danneggiato Cosa nostra. “Ha rovinato mezza Palermo quello… allora perfetto“.

Dario Messina

“Il bambino è giusto che non si tocca – aggiunge l’altro – però aspetta un minuto… perché se no a due giorni lo poteva sciogliere… settecento giorni sono due anni… tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio, allora sei tu che non ci tenevi”. “Giusto! perfetto!… e allora… fuori dai coglioni – risponde ancora il primo – ricordati che una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte“.

“Registriamo un dato grave e inquietante” – denuncia il procuratore Lo Voi – “nonostante in passato altri uomini d’onore non dissociati avessero espresso il loro disappunto per alcuni atti particolarmente gravi, ritenendo che gli stessi abbiano causato conseguenze negative, in questo caso abbiamo una conversazione da cui emerge che non solo condividono ma supportano l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, ritenendo che fosse una decisione corretta“.

Bruno Giacalone

Il boss “come Padre Pio” – “Vedi, una statua gli devono fare… una statua… una statua allo zio Ciccio che vale. Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto… Quelli sono i Santi”. È questo, invece, il passaggio in cui due affiliati idolatrano Matteo Messina Denaro e il padre Francesco, capomafia di Castelvetrano morto nel 1998. Poi il paragone tra il boss super-latitante e la classe politica: “Voialtri tanto mangiate – continuano – State facendo diventare un paese… l’Italia è uno stivale pieno di merda… uno stivale pieno di merda… le persone sono scontente, questo voi fate, e glielo posso dire? Arrestami… che minchia vuoi?”. Emblematico, poi, lo zelo dimostrato da Angelo Greco, affiliato di Campobello di Mazara, molto vicino al capomafia latitante tanto da essere a conoscenza nel dicembre 2012 di una sua momentanea permanenza nella zona di Marsala: si era quindi premurato di cancellare una scritta offensiva nei confronti del padrino comparsa su un muro della cittadina nel gennaio 2013, attivandosi per ricercare il responsabile.

Andrea Valenti

Le accuse nei confronti dei 21 indagati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Sono ritenuti affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna.

 

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