Con l’uscita del Regno Unito il prossimo Parlamento europeo avrà 46 membri in meno ma nel 2019 costerà 48 milioni di euro in più, con un aumento delle spese pari al 2,48%. L’aumento del budget sarà approvato proprio nella seduta di oggi e contempla un sostanzioso surplus di risorse a disposizione dei partiti per la campagna elettorale alle porte. Non è tanto la cifra in sé che conta quanto il principio. La Commissione europea aveva da poco lanciato una “operazione simpatia” per dire a contribuenti e detrattori che il costo dell’Europa, in fondo, equivale poi a un espresso al giorno. Così risulta divedendo la spesa globale di 155 miliardi (bilancio 2017) per 400 milioni di aventi diritto al voto: fa 1,06 euro a testa. All’incirca il costo di un caffè, appunto. Neppure il tempo di apprezzarlo, però, che la stessa Europa ci ha versato l’amaro: mentre dichiara guerra a sprechi e disonestà dei partiti li premia, senza distinzioni, spalancando ulteriormente il portafogli in barba all’austerity che riserva ai cittadini. Lo fa con tre mosse in pochi giorni, tutte proiettate sull’appuntamento elettorale del 2019: su il budget a disposizione, giù la quota che devono conferire privatamente e sì al sistema delle rendicontazioni forfettarie delle spese, no a rendiconti puntuali e trasparenti. Con buona pace del rigore.
Lunedì l’ufficio di presidenza ha confermato il regime forfettario di rimborso delle spese generali, bocciando proposte di rendicontazione più trasparenti, nella plenaria di Strasburgo di martedì gli eurodeputati hanno acceso il disco verde al nuovo “regolamento” sul finanziamento di partiti e fondazioni politiche che – tra la altre cose – aumenta del 5% le soglie delle spese rimborsabili, portandole rispettivamente all’85 e 95%. Così facendo, i partiti concedono a se stessi ulteriori 2,5 milioni di euro l’anno (che diventano 13 a fine legislatura). Soldi pubblici e non più privati, sempre da utilizzare a copertura delle proprie spese. E sempre in vista del rinnovo delle cariche elettive. La proposta della Commissione, va detto, nasceva coi migliori intenti, a partire dalla volontà di mettere un freno alla creazione di partiti e partitini unipersonali che attingono ai fondi permettendone la creazione solo a partiti nazionali (la soluzione adottata prevede una rimodulazione della distribuzione di risorse, la componente individuale cala dal 15 al 10% in favore della quota proporzionale al numero di seggi). Il nuovo regolamento, però, si spinge oltre.
Se non raccogli fondi arrivano lo stesso
Quello vigente risale al 2014 ed è finito nel mirino delle forze politiche che siedono a Bruxelles e Strasburgo e da tempo lamentano la crescente difficoltà a rispettare l’obbligo di compartecipare per il 15 delle spese iscritte nel loro bilancio annuale. Non basta, sostengono, la raccolta fondi presso i propri iscritti ed elettori. Idem per le loro fondazioni. La democrazia, giurano, è in pericolo. Poi si va a vedere le motivazioni reali e si scopre un mondo al contrario: visto che molti si dimostrano meno che onesti, ricevono un premio in denaro in forma di uno sconto del 5% sulla compartecipazione alle spese.
La notizia ha provocato (poche) reazioni sdegnate. Quasi solitaria, la voce del M5S che al Parlamento europeo non è iscritto ad alcun partito o fondazione e rinuncia ai fondi in questione. Il vicepresidente del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo fa notare la contraddizione per cui “in Italia il presidente della Camera Roberto Fico propone tagli a costi e sprechi della politica in Europa si approva l’ennesimo inaccettabile schiaffo dei partiti ai cittadini europei vessati dall’austerità”. Rincara la dose Marco Valli, europarlamentare M5S in commissione Bilancio: “E’ una posizione indifendibile. Abbiamo presentato numerose proposte di tagli, dalla cancellazione delle sovvenzioni a fondazioni e partiti, al taglio di stipendi e indennità accessorie dei deputati, fino al ricalcolo delle pensioni di quest’ultimi su base contributiva. Sono state bocciate lunedì in commissione bilancio”.
Punire i furbi (forse) premiati tutti (subito)
Illuminanti sono alcuni passaggi della proposta che modifica il regolamento su statuti e finanziamento dei partiti politici europei. A pagina 7 spiega che accorda più risorse ai partiti perché “i servizi del Parlamento europeo si sono trovati di fronte ad alcune pratiche dubbie al riguardo, ad esempio circa l’intenzione di alcuni partiti di rispettare alla lettera il requisito di cofinanziamento tramite flussi finanziari circolari”. Non c’è scritto, ma si legge Marine Le Pen, leader del Front National finita sotto accusa proprio per l’uso disinvolto dei fondi dell’Europarlamento utilizzati per pagare guardie del corpo e collaboratori personali che mai mettevano piede a Strasburgo o Bruxelles. Ma non è la sola. “Nell’esercizio 2015 – si legge ancora nel documento – il revisore esterno del Parlamento ha evidenziato problemi in 8 rendiconti su 28”.
Nel documento si spiega inoltre che “la carenza di risorse proprie provenienti da contributi e donazioni può essere compensata solo da contributi in natura”. Che per quanti residuali, non sono privi di ombre: nel 2015 i partiti ne hanno ricevuti per 238mila euro, le fondazioni per 283, ma “la valutazione obiettiva di questi contributi pone notevoli problemi. In molti casi l’amministrazione del Parlamento non è riuscita a verificare in dettaglio questa stima e accertare se fossero effettivamente necessari per l’attività citata e direttamente collegati ad essa, né se le attività sottostanti fossero nell’interesse esclusivo del partito europeo o eventualmente condivise con un’organizzazione partner”. Il legislatore europeo però è magnanimo (verso se stesso): si preoccupa di punire la disonestà diffusa ma ammette al tempo stesso che prolifera anche perché “le risorse proprie dei beneficiari non sono sufficienti”. E dunque, di fronte al men che onesto, allarga il portafoglio.