Arringa finale dell'avvocato dell'ex governatore lombardo: "Se si vuol dire che il contratto mascherava qualcosa, si fa un altro capo di imputazione. Raccomandazione non costituisce reato", ha detto in aula Domenico Aiello. L'accusa ha chiesto la condanna a 2 anni e 6 mesi per l'esponente della Lega. Il 18 giugno, salvo repliche, la sentenza
Roberto Maroni “va assolto” con formula piena. Lo sostiene nell’arringa finale l’avvocato difensore dell’ex governatore della Lombardia, imputato a Milano con l’accusa di aver fatto pressioni per far avere un contratto di lavoro a due ex collaboratrici, Maria Grazia Paturzo e Mara Carluccio, nell’ambito di Expo. L’avvocato Domenico Aiello, citando una sentenza della Cassazione, ha evidenziato che “la raccomandazione non costituisce reato”.
Il legale dell’ex ministro dell’Interno ha anche sostenuto che la presunta relazione tra l’ex governatore, presente in aula, e la Paturzo, al centro della requisitoria del pm Eugenio Fusco, è “una suggestioni e illazioni” del magistrato. “Se si vuol dire che il contratto mascherava qualcosa, si fa un altro capo di imputazione”, dice Aiello che rispetto alla presunta notorietà di questo legame, sottolinea che è una “relazione inesistente, non c’è traccia, non è mai emersa”.
Secondo l’accusa che ha chiesto 2 anni e 6 mesi di condanna, sarebbe stato Maroni a chiedere a Giacomo Ciriello, capo della sua segreteria politica, “di insistere” per ottenere da Christian Malangone, ex dg di Expo, “la promessa” affinché venissero autorizzate le spese del viaggio a Tokyo per Paturzo, sua ex collaboratrice ai tempi del Viminale e nel 2014 temporary manager a Expo, con la quale era “legato da una relazione affettiva”.
“Questa notorietà da cosa lo desumiamo? Da una massima di esperienza della pubblica accusa o visto che il pm ne è convinto è una prova? – ha detto rivolgendosi al giudice – Le convinzioni di animo non entrano in requisitoria, è una spia rossa nel carburante della pubblica accusa che rischia di bruciare tutto il processo”. Poi rivolto all’accusa ha aggiunto: “Cosa si vorrebbe far emergere con la frase ‘vi risparmio i dettagli più macabri’? Continuare con questa litania, che era nota questa relazione? Se vogliamo fare un processo su questo applichiamo il diritto del Corano e vediamo se avevano una relazione”. “Non vi è traccia di prove macabre e scabrose”, ha concluso Aiello.
L’avvocato difensore di Maroni, citando i casi di Gianni Alemanno e Vasco Errani, ha aggiunto che “le sentenze arrivano a volte quando il malato è morto”, alludendo alle carriere politiche terminate. “Per fortuna la statura dell’uomo che assisto ha scelto consapevolmente di non ricandidarsi – ha insisto – A volte la sentenza arriva quando l’imputato si ammala o i familiari si ammalano seriamente, è una forma di violenza che devasta qualunque armonia domestica”. Per il legale “non si può parlare di pena in questo procedimento, possiamo parlare di peccato, di morale”, ma Maroni va assolto “perché non c’è il fatto, mai è mai esistito e soprattutto non è mai stato documentato”. La prossima udienza, nella quale dovrebbe arrivare la sentenza, salvo repliche, è stata fissata il 18 giugno.