Aerei contro aquiloni. E in mezzo gli scontri, che hanno provocato finora quattro morti e più di seicento feriti. È ripreso il conflitto tra palestinesi ed esercito israeliano lungo la barriera difensiva del Paese ebraico. In mattinata velivoli israeliani avevano lanciato su Gaza volantini in arabo chiedendo alla popolazione di “evitare di avvicinarsi alla barriera”. Mossa a cui gli attivisti di Gaza hanno risposto stampando altri volantini per poi lanciarli verso Israele appesi agli aquiloni. Ma le proteste, scoppiate in cinque punti diversi del confine, sono degenerate e finite nel sangue. Palestinese.
È il quarto venerdì consecutivo di scontri, una sequenza iniziata con la prima “Marcia per il ritorno” del 30 marzo voluta da Hamas in occasione del Land Day. Fra le vittime, tutti palestinesi, c’è anche un ragazzo di 15 anni deceduto per le ferite alla testa riportate a Jabaliya, come confermato dal ministero della sanità di Gaza. Ai tumulti hanno partecipato più di 3mila persone, nonostante l’avvertimento inviato dallo Stato ebraico “di non partecipare ad atti di violenza contro le forze israeliane”. Anzi, la risposta degli attivisti è stata altrettanto dura: ”Sionisti, per voi non c’e’ spazio in Palestina. Tornate nei Paesi dai quali provenite. Non obbedite ai vostri leader, che vi mandano alla morte o alla prigionia”, si legge nel messaggio spedito verso i cieli di Israele.
L’esercito di Netanyahu ha denunciato “tentativi di avvicinarsi alle infrastrutture di sicurezza, con l’incendio di copertoni vicino a queste e con tentativi di lanciare aquiloni con oggetti incendiari attaccati. Diversi di questi hanno superato la barriera passando in Israele”. Da qui l’uso della forza: “I soldati stanno rispondendo con mezzi di dispersione e con spari secondo le regole di ingaggio”.
La popolazione palestinese era stata sollecitata nei giorni scorsi a partecipare in massa alle nuove proteste. E nuovi incoraggiamenti sono arrivati a scontri già iniziati dai principali esponenti di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh e Yihia Sinwar, che si sono recati separatamente lungo la linea di demarcazione con lo Stato ebraico. “Se Abu Ammar (Yasser Arafat) fosse ancora vivo, sarebbe qua insieme a noi”, ha detto ancora una volta Sinwar.