Da un mese e mezzo è in libreria un mio volume pubblicato da Laterza e intitolato La Chiesa immobile. Francesco e la mancata rivoluzione
L’opera ha avuto numerose e interessanti recensioni, sono stato invitato a discuterne in un buon numero di trasmissioni radiofoniche e ho in calendario numerose presentazioni. E tuttavia il dato più rilevante è certamente la sinora mancata reazione alle mie tesi (con qualche lodevolissima eccezione) da parte del mondo cattolico italiano: Avvenire, che ha recensito con impressionante puntualità i miei libri precedenti e che tante volte mi ha punzecchiato negli ultimi anni, questa volta tace rumorosamente; così fa L’Eco di Bergamo, il giornale del quale sono stato a lungo un editorialista e che ai miei libri ha sempre dato grande risalto ed attenzione; intellettuali cattolici amici che dei miei lavori hanno in passato scritto con generosità questa volta alludono, senza riuscire a mascherare un evidente rossore, all’ordine che avrebbero ricevuto dall’alto di non parlare del libro, di non partecipare alla sua discussione pubblica.
Il fatto è che il mio libro è per molta parte del mondo cattolico un testo imbarazzante e scomodo. Lo è perché nelle sue 150 pagine di analisi fredda e spietata (per citare un recensore) viene attaccato frontalmente, con delle evidenze empiriche piuttosto chiare e difficili da confutare razionalmente, uno dei grandi miti del nostro tempo: e cioè la convinzione che papa Francesco sia un papa sovversivo, intenzionato ad avviare un grande cambiamento dell’istituzione che dirige.
Cercando di dire la verità e perciò di demolire il mito, io descrivo Francesco come un sapiente continuatore dell’opera dei predecessori, un conservatore (come è naturale che sia un papa) il cui vero capolavoro è quello di aver fatto passare, con la complicità dei media, per rivoluzionari un insieme di cambiamenti del tutto marginali ai limiti dell’irrilevanza, normali e del tutto prevedibili evoluzioni della strategia complessiva della gerarchia cattolica.
Il ridimensionamento della figura di Francesco è per molti assolutamente inaccettabile e fonte di grande imbarazzo. Lo è per i papisti di professione, che campano amplificando ad arte del papa venuto quasi dalla fine del mondo la portata di ogni minimo gesto, l’efficacia di ogni singola azione, ma lo è anche per quella della parte della sinistra sedotta dal pastore argentino e soprattutto per buona parte del mondo cattolico.
Su quest’ultimo versante, io credo che la mia tesi metta in difficoltà quei riformatori cattoprogressisti che non sanno spiegare perché ai predecessori di Bergoglio chiedessero di fare riforme profonde mentre oggi si accontentano, naturalmente spacciandole per saporite pagnotte, delle poche briciole elargite loro da Papa Francesco. In difficoltà è anche la destra cattolica tradizionalista, che dovrebbe spiegare cosa c’è di davvero scandaloso nell’opera di Bergoglio, dal momento che essa, osservata con lucidità, si inserisce a pieno titolo nel solco tracciato dai papi polacco e tedesco.
Oltre alla destra e alla sinistra, il mio libro scontenta naturalmente anche il ventre molle dell’istituzione, il grande corpaccione ecclesiale privo di grandi tensioni ideali al quale appartengono la grande maggioranza del clero e dei funzionari. Questa componente, conformista e “governativa” per definizione, non accetterà mai di mettere in discussione pubblicamente il comportamento del capo. Nell’ombra, tesse una trama bestiale di pettegolezzi, di dicerie e di malignità sul “principale”, ma, siccome tiene famiglia, cioè ha molto da perdere da un indebolimento dell’istituzione, non viene nemmeno sfiorato dall’eventualità di un dibattito pubblico, onesto e sincero sulle magagne dell’istituzione. Chi ne fa parte sa che all’esterno, la “ditta” va difesa sempre e con convinzione.
Del resto, si pensa da quelle parti, morto un papa se ne fa un altro. O no?