di Marta Coccoluto
Da J. Walter Thompson Intelligence non hanno dubbi: il nomadismo digitale e lo smart working sono il futuro del lavoro.
I dati dell’ultimo studio della prestigiosa agenzia newyorkese li mettono tra i trend più forti e in crescita del prossimo decennio. Rinunciare a una carriera tradizionale (o abbandonare la propria) in cerca di una maggiore libertà professionale è una necessità sempre più diffusa. Già lo scorso anno i dati di Intuit pronosticavano che i nomadi digitali – professionisti che svolgono il proprio lavoro da remoto ovunque vi sia una connessione a Internet – raggiungeranno i 7,5 milioni già nel 2020.
Crearsi una professione da remoto, slegata dai vincoli di orario e luoghi, significa conquistare la libertà di poter lavorare ovunque, di conciliare meglio vita e lavoro, di non avere limiti nella scelta del posto dove vivere né da dove lavorare.
Di pari passo, sta crescendo anche lo smart working, un modello di organizzazione del lavoro più flessibile con l’accesso da remoto ai dati aziendali. Una risposta alle necessità dei lavoratori dipendenti ma soprattutto una nuova modalità di esecuzione del rapporto di lavoro da parte delle aziende, anche quelle italiane.
I dati dello studio condotto dalla società di ricerche Pac (Cxp Group) in collaborazione con Fujitsu parlano chiaro: nei prossimi dieci anni il 57% delle imprese italiane intende consentire ai propri dipendenti modelli di lavoro più flessibili, attraverso l’accesso da remoto ai dati aziendali.
Una flessibilità che riguarderà i tempi di lavoro, ma anche gli spazi. Al tirar tardi in ufficio come prova incontrovertibile di produttività e attaccamento al lavoro, si sostituirà progressivamente il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Più che sul controllo, i rapporti di lavoro saranno basati sulla fiducia. Conteranno i risultati e non le ore di straordinario. Non importa da dove si lavorerà, l’importante è come lo si farà.
Fanno eco i risultati del Talent trends report 2018 di Randstad Sourceright – condotto su aziende operanti in 17 Paesi tra cui l’Italia – secondo cui flessibilità e smart working stanno diventando concetti sempre più familiari anche nell’ambito delle risorse umane. Il 76% dei leader Hr (Human resources) dichiara che ogni ruolo aziendale può essere ricoperto – da un dipendente, da un lavoratore a tempo o anche da un freelance – in ufficio come da remoto.
Sembra proprio che nel giro di pochi anni, i “remote worker” professionisti saranno le figure più richieste del mercato del lavoro. Una prospettiva incoraggiante per chi è già entrato nella logica di un lavoro indipendente e mobile con molta libertà di organizzarsi e spostarsi, ma allarmante per chi legge in questi dati solo un esponenziale aumento della precarietà, dell’incertezza di un impiego sicuro, l’addio al rassicurante per quanto noioso posto fisso.
Mentre il dibattito è aperto, il contesto lavorativo del prossimo decennio è delineato in modo nitido e a dare una spinta decisiva verso il lavoro indipendente e da remoto sarà l’entrata nel mondo del lavoro dei Millennials.
Si calcola che questa nuova generazione costituirà oltre il 50% della forza lavoro in Italia: fuori dalle logiche del lavoro tradizionale, aperti alla collaborazione, dalla professionalità sfaccettata, abituati alla mobilità ma soprattutto a loro agio con i nuovi strumenti digitali, già valutati come il vero asset vincente per trattenere in azienda le professionalità migliori e attrarre i talenti freelance.
Lo scenario vi appare futuribile? Troppo lontano dalle logiche lavorative italiane e dalla mentalità del Belpaese? Rischiate di sbagliare.
Il nomadismo digitale ha già dato vita non solo a nuove categorie di professionisti italiani ma anche a nuovi piccoli business legati alla formazione e all’ospitalità per i remote workers e gli aspiranti tali. In Calabria, la startup Home 4 Creativity sperimenta da gennaio di quest’anno la formula del Workation camp per nomadi digitali, una full immersion di sette giorni per trovare la propria vocazione professionale e personale, per definire i propri obiettivi e trasformarli in un nuovo progetto di vita e lavoro in remoto senza vincoli territoriali. Il prossimo appuntamento è dal 12 al 19 maggio e noi di Nomadi Digitali ci saremo a seguire e supportare le attività dei partecipanti.
Anche la Sicilia sta facendo scuola: Palermo – con il Palermo nomad experience – e Ragusa – con la prima workation professionale per nomadi digitali – hanno sperimentato nuove modalità di lavoro, ospitalità, formazione con progetti molto legati alle unicità e alle eccellenze locali.
Un’occasione per attrarre nuovi professionisti e sperimentare nuove forme di sviluppo e di rilancio economico dei territori, facendo di luoghi unici al mondo le nuove mete per i remote workers. Dai templi buddisti di Chiang Mai, alle chiese del Barocco siciliano, perché no? Del resto siamo il Paese culturalmente più influente al mondo e anche tra i quattro più belli del mondo dove viaggiare.
Lavorare da remoto, infatti, può significare da ovunque. Che non vuol dire da Paesi lontani mille miglia o per forza di cose esotici. Può significare anche da posti dove un professionista che lavoratore da remoto può sentirsi più felice, più in armonia con se stesso, più ispirato (a tutto beneficio della produttività). Da remoto può significare da luoghi dove vivere meglio spendendo meno, dove i ritmi sono rallentati, dove c’è un rapporto più intimo con la natura e magari il clima è più bello tutto l’anno.
L’Italia è piena di luoghi così. Posti immersi nella bellezza, in cui si vive davvero bene e che hanno tutte le carte in regola per diventare le mete dei lavoratori del futuro (e anche continuare a essere la casa di chi vi è nato).
Ne sono convinti a Martis, una piccola cittadina in provincia di Sassari, dove è nata la prima Digital nomad town. Christine, Giovanni, Serena, Andrea e perfino il sindaco Tiziano Lasia con il coinvolgimento dei locali vogliono creare il luogo ideale per accogliere i nomadi digitali, con spazi per il co-living/co-working, buon cibo, attività all’aria aperta, sport, escursioni. Puntano a una comunità sostenibile e autosufficiente, dove le nuove opportunità di lavoro arrivano insieme a nuove persone, per ripopolare l’area e far rivivere questo piccolo centro condannato dal lavoro e dai business tradizionali.
Esperienze nuove in cui il nomadismo digitale è la leva per un piccolo ma significativo cambiamento nel modo di lavorare di professionisti arrivati da tutto il mondo e anche di proporre e di far sviluppare un territorio in modo sostenibile e del tutto nuovo. Per cominciare a far sì che il Sud, specchio d’Italia, non sia più un posto da cui si parte ma non si ritorna, ma in cui si resta e si arriva. Magari, col laptop in valigia.