L'assemblea dopo che Invitalia non ha più potuto rinviare il redde rationem e ha chiesto indietro i milioni pubblici anticipati a Blutec per riconvertire l'impianto in seguito all'accordo stretto con l'ex ministro Federica Guidi il 23 dicembre 2014
“Non ce l’abbiamo con nessuno, però non vogliamo essere all’interno di una speculazione politica”. E’ solo una delle tante considerazioni degli operai dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese che venerdì hanno preso atto in assemblea dell’ennesimo fallimento dietro l’angolo. Dopo quattro anni di tira e molla, infatti, nei giorni scorsi i nodi del piano Blutec fortemente voluto dalla politica stanno venendo al pettine. Proprio nella forma che ilfattoquotidiano.it aveva delineato fin da fine 2017, nonostante i tentativi ministeriali di gettare acqua sul fuoco complice il clima elettorale. Alla fine Invitalia non ha più potuto rinviare il redde rationem: lo scorso 10 aprile l’advisor del ministero dello Sviluppo economico ha messo nero su bianco la revoca dell’anticipo di 20 milioni di euro (su 70) di finanziamenti pubblici concessi a Blutec per riconvertire l’impianto in seguito all’accordo stretto con l’ex ministro Federica Guidi il 23 dicembre 2014.
Secondo quanto emerso nei giorni scorsi, Invitalia avrebbe appurato che soltanto il 10% del denaro sarebbe stato speso come previsto dai patti, quindi andrà tutto restituito entro una trentina di giorni. L’azienda piemontese potrà al massimo chiedere un dilazionamento in tre o quattro rate. Se il termine non verrà rispettato, allora ad Invitalia non resterà che l’escussione dell’ipoteca sulle garanzie concesse dall’azienda del gruppo Metec Stola di Roberto Ginatta, che a Torino è socio in (altri) affari di Andrea Agnelli. Resterà sempre da spiegare come è stato altrimenti speso il denaro non adeguatamente rendicontato come ha sottolineato tra gli altri il segretario Uil, Carmelo Barbagallo, “Blutec deve dimostrare di avere utilizzato bene i soldi. Non ci devono essere sconti per nessuno”.
Dopo quattro anni di attesa, il bilancio è dunque davvero amaro: Invitalia rischia di trovarsi alleggerita di 20 milioni e con in pancia la proprietà dell’impianto di Termini Imerese che è a garanzia degli impegni di Blutec. Come se non bastasse il comune di Termini Imerese si troverà un buco nei conti da circa 2 milioni fra Imu, Tasi e Tari non versati da Blutec solo nel biennio 2015-2016. Sopra a tutti il ministero che dovrà affrontare il fallimento dei suoi piani per l’impianto siciliano che avrebbe dovuto reimpiegare buona parte degli ex dipendenti Fiat. Ed, infine, il nuovo governo dovrà far fronte alle proteste dei lavoratori che sono in cassa integrazione fino a fine anno con ammortizzatori che, secondo i calcoli del Sole 24 Ore della scorsa primavera, sono già costati almeno 400 milioni di euro per i circa 700 ex dipendenti Fiat. “Mi sembra che siamo tornati a 4 anni fa”, ha commentato un lavoratore. “Però una cosa deve sapere la politica: questo progetto a cui siamo stati obbligati a credere quanto meno ci ha permesso di vivacchiare fino ad oggi con un ammortizzatore sociale. Se hanno intenzione di trasformare il sito, devono mettersi in testa che da qualche parte ci devono accompagnare”, aggiunge mostrando chiaramente come la situazione sia ormai esplosiva.
Eppure, nel tentativo di rilancio del sito di Termini Imerese, il ministero guidato da Carlo Calenda ha investito tempo e denaro nascondendo sotto il tappeto le difficoltà durante la campagna elettorale. Del resto già il piano di quattro anni era stato più volte disatteso. Prevedeva l’avvio di due progetti: uno per la costruzione di componenti per auto del valore di oltre 90 milioni e l’altro per la produzione di veicoli elettrici da circa 190 milioni. Con questi numeri, entro il 2018 il sito avrebbe dovuto riassorbire 800 operai, tra diretti e indotto. Ma, alla fine, ad oggi, su 750 ex operai di Fca solo 120 sono stati riassunti. Gli altri sono ancora in cassa integrazione, mentre i circa 300 operai dell’indotto sono stati licenziati. Colpa anche di commesse che erano date per scontate, ma che nella realtà non lo erano affatto. Come quella per l’elettrificazione di 1.800 Doblò l’anno per quattro anni, poi fortemente ridimensionata. O ancora l’ ordine, non pervenuto, delle Poste per i motori di settemila motocicli elettrici a tre ruote. E’ giunta invece a destinazione invece la lettera di Invitalia che chiede conto di come siano stati spesi i finanziamenti pubblici. E poi la richiesta di restituzione dei fondi secondo una procedura già in passato messa in atto per altre imprese inadempienti. Ma mai per un caso delle dimensioni di Termini Imerese.