“[…] ai vertici di Cosa nostra era arrivata come una trattativa avviata ed arenata. Questo – non solamente questo, certo, ma anche questo – ha comportato una decisione i cui risultati sono negli atti di questo processo”. Così disse nel 1998 il pm Gabriele Chelazzi durante la requisitoria per le stragi del 1993, primo dibattimento.
Non aveva ancora in mano sentenze passate in giudicato né c’era ancora stata la tanto discussa sentenza di Cassazione al boss Francesco Tagliavia, che sanciva l’esistenza della trattativa, ma che la strage di via dei Georgofili fosse stata il risultato di quella “sofisticata tecnica investigativa” – così come è stata definita in tutti questi anni – era indubbio anche per Gabriele Chelazzi già allora.
E’ d’obbligo la frase “aspettiamo le motivazioni di sentenza”, e la pronunciamo. Ma, dopo 25 anni di battaglie, se non sapessimo ancora perché i nostri figli sono morti vorrebbe dire che non ci siamo dedicati a sufficienza a cercare le prove.
Venticinque anni sono tanti ma la strage è uno di quei reati che non cade mai in prescrizione. Abbiamo tempo, abbiamo eredi e con fede aspettiamo che chi fino a ieri ha cercato mille scuse per non fare il proprio dovere, ora con indagini accurate proceda a rinvio a giudizio dei “concorrenti di Cosa nostra” per la strage di via dei Georgofili e per le stragi del 1993. Indagini inerenti i mandanti oltre Cosa nostra sono state aperte per la terza volta a Firenze, così hanno riportato i quotidiani il 31 ottobre scorso. Noi chiediamo solo un dibattimento: nel bene o nel male abbiamo bisogno di verità.
A chi ha perso i figli sotto il tritolo non si può chiedere di accettare la dicitura “tecniche investigative”.