Sette anni di vacche magre, come nei libri della Genesi, ma non stiamo per parlare di brani delle Sacre Scritture. Lo spunto non arriva dalla Bibbia, ma da un provvedimento del BIS, il Bureau of Industry and Security del Dipartimento statunitense del Commercio.
I sette anni in questione sono quelli di divieto di esportazione negli Usa che il ministro Wilbur L. Ross jr. ha inflitto a Zhongxing Telecommunications Equipment Corporation (“ZTE Corporation”) e ZTE Kangxun Telecommunications Ltd. (“ZTE Kangxun”).
E’ la storia del draconiano provvedimento nei confronti del colosso cinese ZTE, realtà imprenditoriale che – con un simile “castigo” – è stata colpita al cuore e rischia un tracollo epocale.
Poco più di un anno fa, la stessa impresa ha “patteggiato” un mix di sanzioni civili e penali forfetizzate in un miliardo e duecento milioni di dollari: quello di marzo 2017 era il “prezzo” dell’infranto embargo nei confronti di Iran e Corea del Nord cui ZTE aveva venduto apparati per le telecomunicazioni, delle false dichiarazioni rilasciate a fronte di specifiche richieste governative americane, dell’ostruzione alla giustizia rifiutando la collaborazione richiesta e depistando le autorità. La multa era già allora accompagnata da uno stop delle esportazioni verso gli Stati Uniti, blocco inizialmente sospeso e pronto a scattare nel caso in cui l’impresa non avesse rispettato determinate condizioni o avesse dato luogo a ulteriori violazioni delle norma vigenti nel cosiddetto EAR (Export Administration Regulation).
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la serie di bugie emerse ora ma risalenti alle negoziazioni del 2016 dinanzi al BIS e di altre riferite alla dichiarata (e mai avvenuta) adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti di dirigenti aziendali direttamente colpevoli delle infrazioni contestate.
La scoperta che i responsabili di certe irregolarità erano stati non licenziati ma addirittura premiati ha indotto il Segretario di Stato Ross a rendere operativa la sanzione provvisoriamente non applicata.
Le ripercussioni rischiano di essere devastanti: a farne le spese saranno anche altre grandi realtà imprenditoriali, come – a mero titolo di esempio – il gigante americano Qualcomm che produce il 70 per cento dei microprocessori installati all’interno degli smartphone ZTE.
Mentre tutti parlano di dazi negli scambi commerciali con gli Stati Uniti, la guerra economica è già cominciata con pesanti mosse sullo scacchiere internazionale dove – nell’ambito delle telecomunicazioni – l’avvento del “5G” è pronto a rivoluzionare assetti ed equilibri.
Come Brenno poggia la propria spada sulla bilancia per ottenere più cospicuo riscatto ai Romani sconfitti, sono i Servizi segreti ad esclamare il fatidico “Vae victis”: in ballo, infatti, c’è anche la sicurezza nazionale. Le preoccupazioni legate a possibili azioni di spionaggio o di controllo delle comunicazioni sono sempre in evidenza. L’occhio corre inevitabilmente su chi – come ZTE – produce le potenti apparecchiature che veicolano voci, dati e immagini attraverso le moderne reti telematiche che costituiscono il sistema nervoso mondiale.