Paolo Piacentini, esperto di Cammini per il Ministero dei Beni culturali, nel suo libro (edito da Terre di Mezzo) viaggia a piedi dalla Liguria al Lazio. Scopre sacche di resistenza nei luoghi distrutti dal terremoto e giovani che hanno deciso di dedicarsi al turismo sostenibile. Ma anche la mancanza di una governance di sistema che possa valorizzare le nostre montagne
Le sue non sono solo le parole di un esperto – che si occupa di Cammini per il Ministero dei beni culturali e già presidente del Parco regionale dei Monti Lucretili – , ma un atto di impegno civile verso quelle montagne dove manca un’adeguata governance di sistema Stato-Regioni-Comuni, che dovrebbe valorizzarle e provvedere alla loro manutenzione, oggi sempre più carente. La cura – dalla pulizia controllata del sottobosco e degli scoli fino alla costruzione dei terrazzamenti – è indispensabile per mantenere la vita lungo l’asse appenninico, per fare nascere nuove identità territoriali “capaci di attirare i giovani, sempre più stanchi del modello urbano”. Sono tanti i cammini sfiorati nel libro, tutti in Italia e che in pochi conoscono. Dalla Grande traversata della Alpi fino al Cammino naturale dei parchi, quello di San Benedetto, dei Briganti e all’Anello dei Sibillini. E ci sono anche la Transiberiana d’italia, cioè il treno Sulmona-Carpinone e il sentiero europeo E1, che da Capo Nord dovrebbe arrivare fino alla Sicilia.
La passione del camminare è un privilegio con cui si cresce, spiega Piacentini, che come il suo compagno entra in sintonia con se stesso ad ogni passo. Via dal caos della città e sperando di non incrociare quad e moto che squarciano il suono della natura. Baciati dal sole sul crinale della montagna, stremati dalla calura del giorno che asciuga le ossa bagnate dall’umidità della notte. La liberazione è trovare un ristorante dove mangiare, un letto su cui dormire, scoprire che l’abbinata cioccolato-parmigiano dettata dalla fame è buonissima. Poi ci sono gli incontri, e quelli che nascono sui sentieri hanno “qualcosa di straordinario”. A partire dal ricordo di Chiara, eremita da 40 anni al Cerbaiolo (Lucca), che ha preso quella casa in stato di abbandono e l’ha ricostruita, fino ai due settantenni olandesi che a piedi hanno coperto i duemila chilometri tra Amsterdam e Roma. E tra faggi e pini sbuca anche la storia di Alessandro, che nel 2013 ha lasciato il lavoro per aprire il suo b&b a Montagna di Sansepolcro. Ha imboccato la via virtuosa del turismo ambientale per fare vivere l’Appennino, così come hanno fatto anche a Sellano, borgo danneggiato dal terremoto del 2016, e a Campi, scivolato a valle. E che ora punta sul progetto Back to campi per rinascere con case antisismiche e un centro polifunzionale per le attività sportive.
Chi è stato piegato dal sisma non è detto che se ne sia andato: c’è chi come Roberto è rimasto ad Ancarano per portare gli escursionisti sui Sibillini e poi Katia, che non ha mai chiuso il suo agriturismo ad Accumuli. Anime resistenti dove la vita si fa più dura e che investimenti pubblici possono valorizzare per salvaguardare il patrimonio collettivo della montagna. Anche facendo scelte impopolari, slegate da quel profitto a breve termine che oggi è dominante. C’è bisogno, scrive Piacentini, di “progetti di riqualificazione di beni demaniali dismessi e terreni abbandonati”, misure come comodato d’uso gratuito e canoni calmierati per incentivare progetti dei giovani che fanno da presidio a una montagna che rischia di svuotarsi. Per promuovere la rete di cammini e sentieri disegnata sull’Appennino e sviluppare quella cultura dell’ospitalità low cost e a donativo (cioè a offerta libera) che in Italia è ancora acerba, lontana dai modelli di Santiago e del Nord Europa. La montagna si salva con una nuova cultura del turismo lento che porta beneficio alle regioni – soprattutto meridionali – e crea coesione nelle comunità locali. Le stesse che oggi, tra difficoltà e tenacia, vogliono che questo Appennino, da Nord a Sud, continui a pulsare con un’idea di futuro.