Mai come nelle ultime settimane appare appropriata la metafora che definisce “Teatrino della politica” quanto sta accadendo in Italia. Il bene del Paese – avere cioè un Esecutivo nelle sue piene funzioni, anche di indirizzo politico – viene sottomesso a interessi di gruppi di potere, beghe interne a partiti e partitini, sfrenate ambizioni personali. Soprattutto, il bene del nostro Paese viene stracciato dalle mattane senili di un pregiudicato, delinquente, condannato per frode e con molto altro prescritto, Silvio Berlusconi. Nell’affannoso tentativo di non perdere definitivamente la “Golden share” del centrodestra, ha sabotato un possibile, difficile, delicatissimo rapporto che si stava costruendo tra la Lega e il Movimento 5 Stelle.
Certo Salvini non può liberarsi del vecchio satiro, forse per le ipotizzate fideiussioni bancarie che farebbero della Lega un giocattolo di B., sicuramente perché questi, in un impeto di collera, infischiandosene come al solito del bene comune, farebbe crollare per ripicca le regioni nelle quali Forza Italia e Lega sono al potere. Se Berlusconi pensa solo a sé, non è che il Pd sia maggiormente preoccupato delle sorti del popolo che ha governato per anni. Ritiratosi su un politicamente incomprensibile Aventino, tiene dietro più ai sogni di potere dell’arrogante ragazzotto rignanese che lo ha portato alla rovina e che lo sta condannando alla irrilevanza perpetua.
Il “teatrino” prosegue in questi giorni mentre una ricerca Ipsos rivela impietosa che le in Italia continuano a crescere le diseguaglianze sociali: le persone a rischio povertà o esclusione sociale sono passate dal 25,5% del 2008 al 30% del 2016, contro le previsioni di Europa 2020. Grazie alle riforme del Pd sono aumentati i cosiddetti working poor, coloro cioè che, pur avendo un lavoro, non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. La povertà tra le famiglie giovani cresce di otto punti tra il 2007 e il 2015, mentre tra le famiglie anziane scende di uno. Il lavoro è tornato a modelli ottocenteschi, scomparendo le professioni intermedie mentre aumentano i “lavoretti”, i mestieri a scarsa qualificazione.
Nel 2017, ben il 42% degli intervistati nel rapporto si dichiarano dubbiosi sulla possibilità di mantenere il livello del proprio tenore di vita. Nel 2013 erano il 47% ma è una magra consolazione.
Forse il dato che impressiona maggiormente è quello sulle aspettative economiche del proprio paese. Tra gli italiani, appena l’8% è fiducioso in una crescita, a fronte del 53% dei cinesi o del 69% degli indiani. Inoltre, la percezione della divisione interna del Paese continua a crescere, per ragioni economiche, ma non solo. Per il 23% degli italiani sono di più gli elementi che ci uniscono ma per il 67% è vero assolutamente il contrario. Dieci anni fa, nel 2008, la sfiducia nell’unità era dieci punti meno.
Che novità è se al Sud si muore per tumore molto di più che la Nord e in generale si campa tre anni in meno di media?
Che novità è se in Lombardia il reddito annuo medio è di 23mila euro e in Calabria di 14 mila?
Chi detiene il potere oggi grida al Populismo, fingendo di dimenticare questi dati. Dimenticando che un popolo per sentirsi unito deve avere pari opportunità e pari trattamenti in ogni campo della vita.
Questo rapporto, come molti altri diffusi negli ultimi anni, la dicono lunga su come noi stessi ci percepiamo ma purtroppo la dicono lunga anche su come i tanti burattini del “Teatrino della politica” non abbiano ormai più alcuna credibilità.