In questura Anna Cerminara ricordava tutto, nomi o volti dei complici di Giovanni Passalacqua, uno degli organizzatori della rapina arrestato venerdì mattina dalla squadra mobile. Dopo aver raccontato, sono cominciate le minacce del compagno che era riuscito così a farla ritornare sui suoi passi. Fino alla decisione dello scorso 14 aprile
“Tutte queste cazzate che sta facendo ancora, lei con il cervello se ne va al cimitero! Se ne va al cimitero, perde a te, perde a Dante, perde a tutta la sua famiglia, perché questa fra un po’ di giorni così sballa”. A parlare è Giovanni Passalacqua, uno degli organizzatori della rapina al caveau della Sicurtransport arrestato venerdì mattina dalla squadra mobile di Catanzaro. Minacce rivolte al figlio di Anna Cerminara, la collaboratrice di giustizia che ha spiegato ai magistrati della Dda i dettagli della rapina avvenuta il 4 dicembre del 2016.
Persecuzioni psicologiche e intimidazioni. Nel decreto di fermo è descritto nei minimi particolari il percorso travagliato della donna, ex compagna di Passalacqua, che ha consentito a magistrati e investigatori di ricostruire la fase organizzativa e la dinamica di un colpo da oltre 8 milioni di euro.
“Sono a conoscenza dell’episodio legato alla rapina al caveau della Sicurtransport alla quale Giovanni Passalacqua ha partecipato quale basista e coorganizzatore”. In questura a Catanzaro, Anna Cerminara sembrava un computer. Ricordava tutto. Se non sapeva un cognome di qualche complice del compagno, era almeno in grado di riconoscerlo in fotografia. “Giovanni – ha fatto mettere a verbale – conosceva da anni un certo Felice, pugliese della zona di Bari, forse Andria, proprietario o gestore di un oleificio. Attraverso lui è entrato in contatto con alcuni pregiudicati di quella zona specializzati nelle rapine ai caveau degli istituti di vigilanza. Il capo di costoro è un tale Alessandro (Morra, ndr), di cui non conosco il cognome ma che potrei riconoscere in fotografia poiché ho avuto modo di incontrarlo di persona. Giovanni mi ha raccontato che frequentando queste persone è nato il progetto di fare una rapina al caveau della Sicurtransport qui a Catanzaro. Quando costoro gli spiegarono quello che facevano Giovanni ne parlò a Paolo Lentini (boss della cosca Arena, ndr)”.
Ed è quest’ultimo che mise in contatto Passalacqua con Massimiliano Tassone, il gancio dei rapinatori all’interno della Sicurtransport che fornì al commando le immagini dell’interno del caveau: “Si tratta di un uomo intorno ai cinquant’anni, alto, di corporatura media, con i capelli brizzolati che possiede un’auto tipo Audi Station Wagon di colore nero”. Quelle foto finirono in Puglia per essere studiate mentre Passalacqua si mise alla ricerca dei mezzi pesanti “che occorrevano per portare a termine il piano della rapina e per fare dei sopralluoghi”. Una ricerca che l’organizzatore e basista fece per un periodo con Vito Di Biase, un pugliese che doveva partecipare alla rapina ma che a un certo punto fu lasciato fuori dall’affare del caveau. “Vito – sono sempre le parole di Annamaria – venne estromesso dalla vicenda per volere di Alessandro e di qualcun altro dei pugliesi e non venne più a casa nostra”.
Il colpo doveva essere fatto sei mesi prima, il 15 agosto, ma una telefonata anonima mise in allarme la polizia che avvertì la Sicurtransport. Grazie alla talpa Tassone la rapina fu rinviata a dicembre. Nonostante i pugliesi erano già alla fase dei sopralluoghi, Passalacqua “fu informato dall’uomo della Sicurtransport – dichiara la collaboratrice – che bisognava rinviare il tutto perché qualcuno aveva telefonato alla forze dell’ordine informandole che era in procinto di realizzarsi una rapina ad un caveau tra quelli di Cosenza, Reggio Calabria e Catanzaro. Informati i pugliesi, il colpo venne rimandato ed i pugliesi, non so dire come, se ne tornarono a casa. Si sospettava che a fare la telefonata fosse stato Vito, l’uomo estromesso dal progetto, o che vi fossero microspie da qualche parte cosicché da quel momento Alessandro pretese ulteriori attenzioni e cautele e fece verificare spesso le auto del gruppo”.
Se è stato lui, Vito Di Biase non potrà mai confermarlo: è stato ucciso ad Andria lo scorso gennaio da alcuni killer che, mascherati e a bordo di un’auto di lusso, gli hanno scaricato addosso diversi colpi di pistola.
Tornando alla rapina, si è trattato solo di un rinvio. Il countdown è scaduto il 4 dicembre 2016: “Giovanni mi disse che il giorno della rapina era stato fissato e che però bisognava attendere che smettesse di piovere perché una delle strade da percorrere poteva, in caso contrario, essere impraticabile per il fango o forse perché si trattava di una fiumara. Il giorno del referendum costituzionale, Giovanni stette fuori fino alle cinque del pomeriggio a bordo di una Yaris blu; non so cosa fece ma al suo ritorno a casa mi disse che alle otto-otto e mezza avrebbero fatto tutto e che si stavano preparando. Mi disse anche che lui sarebbe rimasto a casa per non essere notato da qualcuno in giro e che tanto lui era tranquillo”.
Così è stato. Pugliesi e calabresi hanno espugnato il caveau ma “ci furono problemi sul bottino poiché chi materialmente entrò nel caveau portò via anche un pacco di qualcosa che non era denaro e questo comportò difficoltà nella spartizione”. Difficoltà anche sui soldi in contante perché la fretta di scappare costrinse i rapinatori a “prelevare solo” 8 milioni e mezzo di euro su 40 disponibili all’interno della sede della Sicurtrasport.
Il denaro, custodito all’interno di due borsoni neri, fu prima sotterrato in un terreno a San Leonardo di Cutro e poi diviso tra i partecipanti alla rapina: “Dentro – è la testimonianza della Cerminara – c’era il bottino, prevalentemente mazzette di denaro da 50mila euro e da 5mila euro fascettate con dei nastri di carta bianca e raccolte in pacchi a forma di cubo per un milione e 200mila euro. Era stato predisposto un elenco con tutti i destinatari di quote più o meno grandi del bottino; a Giovanni spettavano 230mila euro, a Cesare Ammirato 100mila, a Nanà 50mila euro, all’uomo della Sicurtransport, al giovane del camion di Alli, a Pietro Procopio, a Paolo Lentini, a Rotundo altre somme che non ricordo, a quel tale Caputo di Rossano o un suo parente, ai Mannolo ed a Ventura tutto il resto al netto di somme a titolo di regalia destinate a vari capi delle cosche dell’area interessata, quella di Mesoraca, quella di Cutro, quella di Roccelletta, quella di San Leonardo ed altre ancora”.
In Calabria restò circa un milione e 800mila euro. Troppo pochi per Giovanni Passalacqua: “Non fu molto contento della distribuzione del bottino, pensava fosse più cospicuo”. Si sentiva fregato. Prima ha sospettato che il cognato, Dante Mannolo, gli avesse rubato parte della sua quota e poi puntò il dito contro la sua compagna Anna Cerminara: “La parte di denaro di Giovanni è stata custodita a casa di mia madre in località Cavorà di Gimigliano, nascosta in una buca”. Secondo Passalacqua da quella buca, a un certo punto, mancarono 26mila euro di cui pretendeva la restituzione dalla Cerminara che, esasperata, a marzo si è presentata in questura e ha raccontato tutto ai magistrati.
Entrata nel programma di protezione, per Annamaria iniziarono le pressioni del compagno che era riuscito a farla ritornare sui suoi passi. Rientrata a Catanzaro, le fibrillazioni all’interno della ‘ndrangheta non si fermano. “O ci pensi tu, o ci pensiamo noi”. Un boss del quartiere Santamaria pretendeva che Passalacqua portasse la compagna al suo cospetto per sapere dalla sua voce cosa aveva rivelato alla polizia. Il 14 aprile Anna Maria Cerminara non ce l’ha più fatta: ha chiamato la squadra mobile e ammesso di essere stata convinta da Passalacqua ad abbandonare la località segreta grazie all’intervento di un’amica. Agli occhi dei poliziotti è apparsa una donna impaurita che, dopo aver collaborato con i magistrati e dopo aver ritrattato, si è accorta dell’errore e ha chiesto di essere protetta.