Papa Giovanni XXIII era un maleducato. Così lo sarebbero anche padre Enzo Bianchi, figlio di poveri, ed Ermanno Olmi che ha avuto una madre operaia e un padre ferroviere.
Il fighetto teorema usato da Michele Serra nella sua prima versione dell’Amaca non lascia spazio ad interpretazioni: “Il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale”. Così ha scritto il giornalista, che il giorno dopo ha tentato di mettere una pezza dopo le critiche confermando la visione di uno che ragiona alla maniera di chi non conosce e non frequenta i ceti sociali poveri. D’altro canto Serra ha fatto il liceo Manzoni a Milano e sarei curioso di sapere che scuola ha fatto fare ai suoi figli.
La penna di Repubblica ha usato questo indegno teorema per giustificare un’altra tesi fighetta a proposito degli atti di intimidazione di alunni contro professori: “Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore”.
Sia chiaro la nostra società è classista. Nessuno lo vuole negare, ma ho l’impressione che il giornalista che vive tra Milano – dove è cresciuto – e il piacentino – dove ha una terra di molti ettari, che si diverte a coltivare quando ha tempo – non conosca la dignità e la fatica di quegli operai che magari non sanno il latino e il greco ma hanno insegnato per prima cosa ai loro figli il rispetto per l’altro. Ho la sensazione che non abbia mai messo piede allo Zen di Palermo dove Giovanni tra mille sacrifici ha lottato per riuscire a fare le scuole superiori e oggi insegna ad altri ragazzi il riscatto sociale. Ho il dubbio che a casa di una famiglia di ceto sociale non pari al suo non abbia mai pranzato e chissà come se la immagina. E chissà se è mai stato in un professionale o in tecnico per parlare in quel modo.
Le parole di Serra mi hanno ricordato quella volta che un dirigente del liceo classico di Crema anni fa mi mi disse: “Solo da qui uscirà la classe dirigente del futuro”. Io stesso sono cresciuto in una famiglia di ceto sociale povero: a casa mia non solo non c’erano i libri ma nemmeno la libreria. Mia madre leggeva Confidenze e Intimità e il settimanale cattolico per vedere i necrologi. Mai stato al cinema. Sì, è vero forse non mi hanno insegnato la padronanza dei gesti e delle parole ma nella mia vita ho incontrato altre persone (la maestra e il prete) che mi hanno permesso di crescere di là del condizionamento sociale. E la stessa “maleducazione” dei miei (per usare la tesi di Serra) mi è stata utile per crescere pensando di voler essere diverso da loro. Serra infatti dimentica una cosa: i padri dei ricchi vogliono i figli a loro somiglianza mentre i figli dei poveri sono mossi dal grande desiderio di riscatto sociale. Una morsa che in questi anni ha davvero cambiato l’Italia: lo dimostra anche la politica che finalmente porta in Parlamento i figli di una classe sociale più povera.
A inchiodare la società ad una struttura classista e conservatrice (come scrive nell’Amaca) sono proprio quelli come quel dirigente del liceo di Crema e quelli come Serra convinti che al classico ci vanno i migliori. Solo un liceale su sei proviene da una famiglia operaia. Nel 2016 al classico si sono diplomati solo l’8,7% di ragazzi figli di impiegati o di genitori che stanno alla catena di montaggio a fronte di un 45% di figli di professionisti, dirigenti, docenti universitari e imprenditori. Allo scientifico sono usciti il 13,1% di ragazzi che provengono dalle classi sociali più povere. Ma non basta. Se andiamo a vedere la questione ripetenti scopriamo che il 30% di chi viene bocciato al liceo due o più volte appartiene alle famiglie operaie contro il 17% della classe elevata. Questo perché questa Scuola e la gente come Serra vogliono preservare il recinto del ceto alto.
Su una cosa Serra ha ragione: “Il popolo è violento” ma non (come dice lui ) “perché cerca di mascherare la propria debolezza” ma perché si ribella, perché urla, perché grida la propria condizione. A 16 anni al classico scaraventai il banco davanti alla professoressa di greco perché a me, figlio di operai, disse all’inizio dell’anno: “Tu verrai bocciato”. Mi bocciarono e con il casco ruppi i vetri del liceo urlando: “Borghesi di merda”.
Serra e molti diranno: eccolo il maleducato, quello che non aveva padronanza di gesti e parole, perché veniva dal ceto basso. Il teorema funziona. Peccato che in quel mio gesto c’era tutta la rabbia, la violenza di chi si è visto calpestato da compagni che ti trattavano come un pezzente e da insegnanti figli a loro volta di liceali che mal sopportavano l’idea di avere tra le scatole uno che arrivava a scuola in motorino (l’unico) e che raccoglieva firme contro la contessina che spuntava un’ora in ritardo perché andava dall’estetista.
Serra nella replica del giorno dopo nel mettere la pezza peggiora la situazione: si ricorda improvvisamente che anche nei licei ci sono arroganti e screanzati ma si giustifica dicendo che in “1500 battute si è costretti ad evitare la zavorra dell’ovvio” e per quello non ha parlato di loro interessato solo al “macro fenomeno”. Non voglio dare lezioni a Serra ma ricordo che il mio capo redattore a La Provincia di Cremona davanti al giovane apprendista che aveva bisogno di più battute per un articolo mi disse: “Corlazzoli in due mila battute ci è stato il disastro del Vajont, figuriamoci”.
Non solo, il giornalista cita don Milani sulla scuola di classe ma forse dovrebbe ricordare che proprio i ragazzi di Barbiana – montanari, figli di un ceto sociale povero – grazie all’incontro con il priore sono diventati sindacalisti, politici, giornalisti.
Per il resto la diatriba con Luca Telese e il pippone fighetto sulla sinistra con citazioni che il ceto sociale povero non capirà non mi interessano. Mi interessa un’altra cosa continuare questo dibattito sulla differenza di classe che c’è, che esiste, che non morirà mai ma che aumenta proprio a causa delle fosse scavate da chi come Serra è ancora convinto che “Il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale”. La società dei “figli di Serra” continuerà a cantarsela e suonarsela senza sentire le urla di chi non ha fatto il Manzoni, non è un ignorante, non è maleducato ma ha una strada in salita anziché una in discesa.
Serra non mi leggerà, sono un giornalista di un altro ceto rispetto a lui. Non perderà certo tempo con me ma mi piacerebbe invitarlo a parlare di quanto lui ha sollevato in un quartiere povero di Palermo o in un professionale, non dietro una comoda scrivania. Troppo facile.