Oggi vi raccontiamo la storia di Esther Zanda, ragazza di 24 anni di origini sarde, che nel 2017 ha partecipato a due progetti di volontariato in Turchia, a Sivas e a Mersin. Vi raccontiamo la sua esperienza appena in tempo, prima che parta per un nuovo progetto in Israele della durata di un anno. Sì perché – come avrete modo di leggere – il viaggio per Esther è un’avventura da vivere a pieno, una gemma preziosa da aggiungere al proprio bagaglio esperienziale.

Preceduta dal suo stesso interesse personale e accademico per la cultura e la politica turca, Esther giunge a Sivas in pieno periodo di referendum. Da qui, l’apprendimento delle prime due parole turche : evet e hayır (“sì” e “no”). Le prime di una lunga serie, fino ad augurare kolay gelsin a un lavoratore o anche gözün aydın, letteralmente “che i tuoi occhi possano illuminarsi”.

Il primo ambientamento deriva, quindi, dalla gioia e dalla sicurezza di poter comunicare nella lingua del posto, vedendo davvero gli occhi dei tuoi interlocutori illuminarsi di fronte alla tua abilità. I primi passi verso il sentirsi a casa. “Nella mia vita ho vissuto e lavorato in svariati Paesi e la domanda a cui sento di aver risposto è che non c’è posto in cui non ci si possa sentire a casa”.

Per Esther il fatto di abitare più Paesi, parlare molteplici lingue e incontrare infinite realtà, è come avere la possibilità di vivere più vite. Scoprire oltre il confine geografico anche un tuo limite personale, di pregiudizio o capacità di adattamento, e superarlo. Molto al di là di ciò che tu stesso potresti aspettarti. “Qualunque periodo trascorso a contatto con nuove realtà non può che ampliare le nostre vedute”.

Tutto molto suggestivo, certo. Ma noi – che ci teniamo a spaccare il capello in quattro, come si dice – non possiamo fare a meno di conoscere qualche ostacolo incontrato, qualche difficoltà insormontabile. Esther in primis resta sorpresa dalla sua incapacità di rispondere alla domanda. Forse perché, dice, dietro a ogni ostacolo si cela un’imperdibile opportunità di crescita. Ogni ostacolo, insomma, qualsiasi esso sia, non riesce ai suoi occhi ad avere un’accezione negativa.

Indubbiamente, dice lei stessa, in un Paese come la Turchia le differenze culturali sono svariate. Essendo uno Stato molto vasto, ogni regione ha le sue peculiarità e un attaccamento alla tradizione molto differente. Ma nel complesso, sono tutti elementi di ricchezza: “Una buona parte di ragazze che porta l’hijab e un’altra parte piuttosto cospicua che sceglie invece di non indossarlo, un’altissimo numero di çay serviti su piattini colorati, un’accoglienza infinita e della buona musica”. Sorrido quando racconta del suo amico turco che, per paura che il suo capo lo potesse veder bere alcolici, chiude le tende della finestra che dà sulla strada.

Inevitabile riconoscere l’aspetto più “romantico” della nazione e cultura italiana. Una nota stonata risuona, però, pensando all’approccio più teorico e formale che si mantiene qui nello sviluppo delle proprie competenze. Siano esse accademiche, professionali o personali. Una nota stonata, che secondo Esther compone sempre la stessa cantilena di: “Faccio il master, sono specializzato, io”, quando nella pratica effettiva il solo titolo di studio non dovrebbe essere esattamente un lasciapassare.

Nonostante questo, il suo approccio mantiene un occhio di riguardo per tutti i Paesi in cui vive e vivrà, portando con sé l’amore per la sua terra sarda, ma senza farsi prendere dalla nostalgia. Un passione per l’esperienza del viaggio, la sua, che non vede confini spaziali o ideologici. “In realtà, credo di essere ormai al punto di non credere più ai confini, se non geograficamente parlando e per una questione di mera organizzazione e ordine”.

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