Nessuna marcia indietro. Lesperimento finlandese del reddito di base continuerà fino a fine 2018, come previsto. E l’anno prossimo gli analisti della Kela, l’agenzia governativa che gestisce sussidi e programmi di sicurezza sociale, analizzeranno i risultati. L’unico cambiamento rispetto al piano iniziale è che nel progetto non verranno inclusi anche cittadini che un lavoro ce l’hanno: continueranno a ricevere i 560 euro al mese – senza nessun requisito – solo i 2mila disoccupati estratti a sorte all’inizio del 2017. Una svolta nel welfare di Helskinki, è vero, c’è stata, ma riguarda gli altri benefit previsti per i senza lavoro. Che da inizio aprile devono provare di essersi concretamente attivati per trovare un’occupazione, pena un taglio del sussidio limitato comunque a 32 euro al mese su quasi 700 euro totali. Per mantenere l’aiuto, peraltro, basta dimostrare di aver lavorato almeno 18 ore in un periodo di tre mesi.

Nei giorni scorsi Business Insider Nordic ha pubblicato un pezzo intitolato La Finlandia uccide l’esperimento sul reddito di base famoso nel mondo. L’articolo parte da un’intervista al quotidiano Svenska Dagbladet di Miska Simanainen, ricercatore del Kela, che lamenta come il governo stia “attuando delle modifiche che stanno allontanando il sistema dal modello del reddito di base”. E cita anche Olli Kangas, uno degli accademici che hanno ideato il sistema, secondo cui “due anni sono un arco temporale troppo breve per stilare conclusioni soddisfacenti da un esperimento così vasto”. Il pezzo è stato ripreso da agenzie stampa e quotidiani italiani, che hanno tradotto i contenuti dell’articolo come un “flop” del reddito incondizionato. Tema politicamente sensibile, durante le trattative per la formazione del governo, visto che il reddito di cittadinanza è stato in campagna elettorale il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle mentre Silvio Berlusconi last minute ha lanciato l’idea di un “reddito di dignità” e il Pd rivendica il reddito di inclusione che copre però solo una piccola parte di quanti ne avrebbero bisogno.

Di fatto, l’orizzonte temporale di due anni era previsto fin dall’inizio dell’esperimento finlandese. Che continuerà fino a dicembre 2018, come confermato a gennaio da Kela. Entro fine 2019 saranno pubblicati i risultati: si andrà a guardare quanti tra i 2mila selezionati lavorano, anche part-time, se il loro benessere generale è aumentato, se l’ansia legata alla disoccupazione è diminuita grazie alla sicurezza di un reddito. Una volta conclusa la sperimentazione, ha anticipato il ministro delle Finanze Petteri Orpo, ne partirà un’altra incentrata su un unico ‘universal credit‘ analogo a quello introdotto nel 2013 in Gran Bretagna al posto di una serie di sussidi diversificati come quello per la casa e quelli di sostegno al reddito.

Nel frattempo, lo scorso dicembre, l’esecutivo guidato da Juha Sipilä (Partito di Centro) ha varato modifiche allo schema dei sussidi di disoccupazione “classici”, introducendo tra i requisiti un minimo di ore lavorate (18 nel corso del trimestre) o in alternativa un introito minimo – 240 euro – da attività in proprio o cinque ore di frequenza ad attività di promozione dell’occupabilità presso enti locali, sindacati, ong e associazioni non profit. In caso contrario si rischia una decurtazione del 4,65% sull’ammontare del sussidio. Condizioni non particolarmente stringenti, dunque, ma che secondo il governo dovrebbero contribuire a ridurre il tasso di disoccupazione. Il ministero degli Affari sociali, peraltro, ha fatto sapere che a fronte della stretta aumenteranno gli stanziamenti per i sostegni al reddito indipendenti dallo stato di disoccupazione. I finlandesi comunque si sono mobilitati contro la nuova legge: una petizione che ne chiede il ritiro – lamentando che in questo modo si forzano i senza lavoro ad accettare lavoretti poco pagati – ha totalizzato 50mila firme ed è stata depositata in Parlamento all’inizio di marzo.

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