“Serafino sei il nostro angelo”. La gigantografia del boss ucciso campeggia da 5 anni sul muro all’R9 di Tor Bella Monaca, senza che nessuno si sia scomodato per rimuoverlo. O che almeno ci abbia provato. Un immobile di proprietà del comune di Roma come gran parte dei complessi di edilizia popolari situati nella borgata di Roma est, tutti marchiati dalla sigla “R”. Il 2 febbraio 2013, quando Serafino Cordaro venne crivellato di colpi nella vicina via Acquaroni, le cronache lo descrivevano semplicemente come “il barista di Torre Gaia”, ammazzato per una lite tra famiglie scatenata da futili motivi. Soltanto nel luglio 2016, in seguito al maxi-blitz condotto proprio all’R9 dalla polizia e ordinato dalla dda di Roma, è venuto a galla quello che gli investigatori già sapevano da tempo, ovvero che il clan Cordaro controlla da anni la piazza di spaccio di Tor Bella Monaca godendo di “un forte consenso sociale fra la popolazione” e di “un forte rispetto del quartiere”. Eppure quel murale celebrativo è ancora lì, quasi fosse indelebile, proprio come il volto di “Chicco” tatuato da quel giorno sul petto di tutti gli affiliati.
Un vero monumento alla criminalità organizzata, situazione messa in risalto all’interno del terzo rapporto sulle Mafie nel Lazio, presentato dal presidente dell’Osservatorio Regionale Giampiero Cioffredi. Il paradosso è stato raccontato – nell’indifferenza istituzionale – dal procuratore aggiunto Michele Prestipino durante una recente seduta della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie. “L’immobile è comunale – ha detto il magistrato ai deputati – Sono cambiate tre amministrazioni (Marino, Tronca e Raggi, ndr), è cambiato ovviamente il presidente del VI Municipio, però questo murale è ancora lì. Perché ce ne preoccupiamo tanto? Non mi preoccupa il murale in sé per sé, mi preoccupa quello che rappresenta, ovvero una dimostrazione del profilo identitario di questo gruppo. Il fatto che questo murale sia ancora lì, dentro la capitale d’Italia, e nessuno si sia sentito in dovere di rimuoverlo, rappresenta per questo gruppo motivo di grandissimo prestigio criminale, un prestigio che viene speso sul piano dei rapporto generali”. Parole pesantissime, raccolte da Cioffredi. “Mi sarei aspettato una presa di posizione – spiega – un’interrogazione parlamentare, almeno una polemica, una dichiarazione d’intenti. Niente di niente”.
La situazione è ancor più paradossale alla luce delle rimozioni murali effettuate negli ultimi mesi a Roma. Il 23 marzo 2018, l’ormai celebre murale del bacio fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini realizzato da Tvboy è stato cancellato nel giro di qualche ora, stesso destino per quello di Maupal che nell’ottobre 2016 ritraeva Papa Francesco in versione street artist su un muro di Borgo Pio. E che dire del lavoro di Blu rimosso a San Basilio nel 2014 perché “offendeva le forze dell’ordine” o del ben meno provocatorio Uomo Ragno di Virgilio Vona rimosso per errore al Mercato Tufello.
“Non possiamo confermare che l’immobile sia di proprietà del comune – spiegano dal Campidoglio a ilfattoquotidiano.it – E comunque, l’ufficio decoro interviene su segnalazione, dei cittadini o della Questura. Ad esempio, il murale del bacio vicino Montecitorio è stato fatto rimuovere dai carabinieri”. Dalla questura di Roma, invece, al momento non sono giunte specifiche in merito. Servirà, probabilmente, l’intervento della prefettura, come chiesto pubblicamente da Cioffredi al prefetto di Roma Paola Basilone. “Mi auguro si possa procedere presto ad una convocazione del Comitato sull’Ordine e la Sicurezza ad hoc”, ha detto il presidente dell’Osservatorio durante la presentazione del rapporto. In attesa di capire se la sollecitazione avrà un seguito (e lo scaricabarile una fine), il volto di Serafino Cordaro è sempre lì, beffardo, a vegliare sulle attività criminali rimaste in mano alla sua famiglia.