Per Telecom nessun ritorno al passato. Almeno per il momento. Resteranno davanti all’uscio i soliti noti della finanza italiana proposti dal fondo Elliott, che prima di questa battaglia aveva finanziato i cinesi nell’acquisto del Milan dalla Fininvest. Il Tribunale di Milano ha dato infatti ragione alla compagnia telefonica e al suo maggior azionista Vivendi: il giudice civile Elena Riva Crugnola si è espresso contro la decisione dei sindaci Tim di forzare la mano al consiglio di amministrazione per modificare, su istanza di Elliott, l’ordine del giorno dell’assemblea di martedì 24 aprile. Vince quindi la linea dei francesi rispetto alle pretese del fondo, che aveva domandato la revoca di sei amministratori francesi. Una richiesta che, secondo il consigliere dimissionario Anna Jones, era legata al “progetto di Elliott – che – sembrerebbe quello di sostituire tutti i consiglieri non italiani con consiglieri facenti parte dell’establishment italiano”.
L’obiettivo dichiarato di Elliott era in effetti defenestrare i consiglieri francesi per sostituirli con sei manager di suo gradimento. E cioè Fulvio Conti, il manager che Berlusconi scelse nel 2005 per guidare l’Enel, il direttore generale del costruttore Salini Impregilo Massimo Ferrari, l’economista consigliere di Terna (dopo Ansaldo Sts) Paola Giannotti De Ponti, l’ex direttore generale Rai e prima ad di Wind, Luigi Gubitosi, il banchiere Dante Roscini e, infine Rocco Sabelli, già direttore di Tim oltre che amministratore dell’Alitalia – Cai dei Capitani coraggiosi dello stesso Berlusconi. Ma Vivendi ha giocato d’anticipo facendo dimettere i suoi sei consiglieri più due indipendenti e provocando la decadenza dell’intero board. La mossa aveva provocato le ire di Elliott che aveva definito illegittime le dimissioni e l’intervento a gamba tesa del collegio sindacale a favore del fondo. A quel punto, il consiglio si era rivolto al Tribunale che, invece, ha dato ragione ai francesi.
Stando così le cose, l’assiste degli azionisti di martedì 24 si concentrerà sull’approvazione del bilancio 2017, sulla cooptazione dell’amministratore delegato Amos Genish, sui piani di incentivazione del management, sul rinnovo di revisori e sindaci. Su quest’ultima questione, in particolare, c’è da scommettere che non mancheranno le scintille: fra i nomi della lista di Assogestioni per il collegio sindacale di Tim c’è infatti l’attuale presidente Roberto Capone, fra i più determinati sostenitori di Elliott. Anche a dispetto di un potenziale conflitto d’interessi che i francesi non hanno affatto gradito: oltre ad essere nel collegio Tim, Capone è infatti anche numero uno dei sindaci dell’azienda pubblica Cdp Equity, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti che possiede quasi il 5% di Tim. Inoltre Cdp Equity è anche proprietaria, assieme all’Enel, della rivale Open Fiber, promessa sposa della rete Tim dopo la separazione dell’infrastruttura dalle attività di telefonia.
Un progetto, quest’ultimo, che non piace però a Vivendi come emerge nelle motivazioni sulle dimissioni del consigliere francese Felicité Herzog: “Il break-up (lo spezzatino, ndr) di Telecom Italia, mediante dismissione (e non semplice separazione legale) della rete, rappresenta un rischio enorme, trattandosi del principale asset di cui la società dispone, per cui è per i componenti il board una responsabilità storica non venderlo”. L’asset della rete è infatti a garanzia dell’enorme debito (33 miliardi) della compagnia telefonica e il piano di separazione dell’infrastruttura dalle attività di telefonia rischia di mettere a nudo le debolezze dell’ex monopolista.
Scongiurato il rischio di restare fuori dalla stanza dei bottoni sotto le pressioni di Elliott, Vivendi si prepara ora alla battaglia del 4 maggio per conquistare il controllo di un consiglio con quattordici poltrone. Per l’occasione Elliott ha presentato una sua lista con i nomi che avrebbe voluto già piazzare da domani nel cda di Tim. I francesi rischiano invece di restare in minoranza con cinque amministratori di cui due non indipendenti (Arnaud de Puyfontaine e Amos Genish) e tre indipendenti (Marella Moretti, Michele Valensise e Giuseppina Capaldo, figlia del banchiere Pellegrino Capaldo). Ma almeno potranno far valere il loro peso di primi azionisti della compagnia telefonica con quasi il 24% del capitale. Come del resto ha evidenziato Elliott in una nota, il 4 maggio “gli azionisti esprimeranno le loro volontà”. E poi ha aggiunto: “la decisione di oggi sia soltanto una democrazia ritardata e non negata”.