“Servono cani da guardia per controllare i cani da guardia”. L’espressione colorita è dell’avvocato Alessandro Gamberini, pronunciata presso la Scuola di Scienze Politiche di Bologna al seminario su rapporto tra “informazione e giustizia” che aveva scatenato polemiche prima ancora di andare in scena. I cani da guardia da mettere sotto controllo sono naturalmente i giornalisti, in particolare quelli della cronaca giudiziaria, accusati dagli avvocati delle Camere Penali di “brutalizzare le notizie, copiandole dal padrone, cioè il pm” (Gamberini), di “assecondare il background giustizialista dell’opinione pubblica” (Luigi Stortoni), di “scrivere radicali stupidaggini indecenti” (sempre Gamberini), di “mettere un timbro a fuoco sulla pelle degli imputati che rimarrà indelebile” (ancora Stortoni).
Un attacco ad alzo zero, sebbene condito da offerte di pace tendenti ad attribuire la colpa originaria del “processo mediatico nel quale la stampa ci sguazza” (Stortoni) non agli stessi giornalisti ma alla “polizia giudiziaria protagonista che dirige i pubblici ministeri” (Gamberini), che passa ai giornalisti troppe notizie d’indagine, troppi video trailer confezionati ad arte con i loghi delle Forze dell’Ordine in bella vista. E lo fa “appoggiandosi tanto più alla stampa quanto più le inchieste e le indagini sono deboli nei contenuti” (parola del professor Michele Sapignoli). La conclusione è che si esercita “una pressione mediatica impropria nel processo” (Sapignoli) e che alla fine anche il giudice può soccombere perché condizionato dall’opinione pubblica schierata sulle tesi colpevoliste (Stortoni).
Il seminario aveva sollevato dubbi e polemiche in quanto inserito dall’Ordine e dalla Fondazione dei Giornalisti dell’Emilia Romagna tra i corsi che offrono crediti formativi in deontologia ai giornalisti stessi. Come altri due corsi, pressoché analoghi, organizzati lo stesso giorno ad Imola e il giorno successivo ancora nel capoluogo di regione in collaborazione con le Camere Penali. Tra i relatori a Bologna avrebbe dovuto esserci l’avvocato Alessandro Sivelli, responsabile dell’Osservatorio “informazione giudiziaria” della Camera Penale di Modena, il quale ha però deciso di non parlare, come scritto in una lettera al Fatto Quotidiano, “onde evitare imbarazzi agli organizzatori e spegnere le polemiche sorte dopo gli articoli del 30 gennaio e del 4 aprile”.
È la stessa Camera Penale Carl’Alberto Perroux che il 16 marzo scorso aveva chiamato a parlare di “Criminalità organizzata e terrorismo”, in un seminario che offriva crediti formativi in “etica” agli avvocati, il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno. Imputati al processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra di Palermo, il 20 aprile sono stati condannati in primo grado rispettivamente a 12 e a 8 anni per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”.
Aggiunge Sivelli nella sua lettera che gli Osservatori criticati in quegli articoli non hanno “nessuna intenzione di limitare il diritto d’informazione, che anzi noi avvocati delle Camere Penali abbiamo sempre difeso. Compito e finalità degli Osservatori sono lo studio degli effetti distorsivi e dei condizionamenti che il processo penale può subire con l’anticipazione di atti di indagine coperti dal segreto istruttorio e con la pubblicazione di articoli che quasi sempre enfatizzano le tesi accusatorie, ignorando la presunzione d’innocenza e trasformando l’informazione di garanzia in una anticipata condanna”.
L’avvocato Sivelli conclude la sua replica augurando “confronto e collaborazione tra le due categorie professionali”, avvocati e giornalisti, “che permettano ad entrambe un arricchimento”. Ma al seminario del 19 aprile i suoi colleghi hanno tradotto la parola “confronto” in “botte da orbi”. A tentare di difendere il lavoro giornalistico ci ha provato il Presidente dell’Ordine emiliano romagnolo, Giovanni Rossi, che ha ricordato i 19 giornalisti italiani sotto scorta per minacce mafiose e la testimonianza resa di recente al processo Aemilia dal collaboratore di giustizia Vincenzo Marino che ha svelato l’intenzione della ‘ndrangheta emiliana di uccidere un giornalista che dava fastidio. Poi ha citato il Testo unico dei doveri del giornalista al quale chi esercita la professione deve attenersi ed ha richiamato le responsabilità degli editori nell’aver svilito una professione sempre più affidata a giovani sottopagati e senza tutele. Omettendo però di dire che al processo Aemilia i cronisti sono tutti professionisti di lunga esperienza. Una difesa buona o debole quanto si vuole ma una difesa, appunto. Perché il seminario non era il confronto dialettico, doveroso e legittimo tra due categorie: avvocati e giornalisti. Era il dibattimento di un processo in cui la prima delle due ha deciso di mettere sotto accusa l’altra.
Mafie
Aemilia, la lezione degli avvocati al corso per giornalisti: “Brutalizzano le notizie copiate dal padrone che è il pm”
Il seminario aveva sollevato dubbi e polemiche in quanto inserito dall’Ordine tra i dibattiti che offrono crediti formativi in deontologia ai giornalisti stessi. I cronisti accusati dai legali di “assecondare il background giustizialista dell’opinione pubblica” e di “scrivere radicali stupidaggini indecenti”. "Servono cani da guardia per controllare i cani da guardia”, dice l'avvocato Gamberini
“Servono cani da guardia per controllare i cani da guardia”. L’espressione colorita è dell’avvocato Alessandro Gamberini, pronunciata presso la Scuola di Scienze Politiche di Bologna al seminario su rapporto tra “informazione e giustizia” che aveva scatenato polemiche prima ancora di andare in scena. I cani da guardia da mettere sotto controllo sono naturalmente i giornalisti, in particolare quelli della cronaca giudiziaria, accusati dagli avvocati delle Camere Penali di “brutalizzare le notizie, copiandole dal padrone, cioè il pm” (Gamberini), di “assecondare il background giustizialista dell’opinione pubblica” (Luigi Stortoni), di “scrivere radicali stupidaggini indecenti” (sempre Gamberini), di “mettere un timbro a fuoco sulla pelle degli imputati che rimarrà indelebile” (ancora Stortoni).
Un attacco ad alzo zero, sebbene condito da offerte di pace tendenti ad attribuire la colpa originaria del “processo mediatico nel quale la stampa ci sguazza” (Stortoni) non agli stessi giornalisti ma alla “polizia giudiziaria protagonista che dirige i pubblici ministeri” (Gamberini), che passa ai giornalisti troppe notizie d’indagine, troppi video trailer confezionati ad arte con i loghi delle Forze dell’Ordine in bella vista. E lo fa “appoggiandosi tanto più alla stampa quanto più le inchieste e le indagini sono deboli nei contenuti” (parola del professor Michele Sapignoli). La conclusione è che si esercita “una pressione mediatica impropria nel processo” (Sapignoli) e che alla fine anche il giudice può soccombere perché condizionato dall’opinione pubblica schierata sulle tesi colpevoliste (Stortoni).
Il seminario aveva sollevato dubbi e polemiche in quanto inserito dall’Ordine e dalla Fondazione dei Giornalisti dell’Emilia Romagna tra i corsi che offrono crediti formativi in deontologia ai giornalisti stessi. Come altri due corsi, pressoché analoghi, organizzati lo stesso giorno ad Imola e il giorno successivo ancora nel capoluogo di regione in collaborazione con le Camere Penali. Tra i relatori a Bologna avrebbe dovuto esserci l’avvocato Alessandro Sivelli, responsabile dell’Osservatorio “informazione giudiziaria” della Camera Penale di Modena, il quale ha però deciso di non parlare, come scritto in una lettera al Fatto Quotidiano, “onde evitare imbarazzi agli organizzatori e spegnere le polemiche sorte dopo gli articoli del 30 gennaio e del 4 aprile”.
È la stessa Camera Penale Carl’Alberto Perroux che il 16 marzo scorso aveva chiamato a parlare di “Criminalità organizzata e terrorismo”, in un seminario che offriva crediti formativi in “etica” agli avvocati, il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno. Imputati al processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra di Palermo, il 20 aprile sono stati condannati in primo grado rispettivamente a 12 e a 8 anni per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”.
Aggiunge Sivelli nella sua lettera che gli Osservatori criticati in quegli articoli non hanno “nessuna intenzione di limitare il diritto d’informazione, che anzi noi avvocati delle Camere Penali abbiamo sempre difeso. Compito e finalità degli Osservatori sono lo studio degli effetti distorsivi e dei condizionamenti che il processo penale può subire con l’anticipazione di atti di indagine coperti dal segreto istruttorio e con la pubblicazione di articoli che quasi sempre enfatizzano le tesi accusatorie, ignorando la presunzione d’innocenza e trasformando l’informazione di garanzia in una anticipata condanna”.
L’avvocato Sivelli conclude la sua replica augurando “confronto e collaborazione tra le due categorie professionali”, avvocati e giornalisti, “che permettano ad entrambe un arricchimento”. Ma al seminario del 19 aprile i suoi colleghi hanno tradotto la parola “confronto” in “botte da orbi”. A tentare di difendere il lavoro giornalistico ci ha provato il Presidente dell’Ordine emiliano romagnolo, Giovanni Rossi, che ha ricordato i 19 giornalisti italiani sotto scorta per minacce mafiose e la testimonianza resa di recente al processo Aemilia dal collaboratore di giustizia Vincenzo Marino che ha svelato l’intenzione della ‘ndrangheta emiliana di uccidere un giornalista che dava fastidio. Poi ha citato il Testo unico dei doveri del giornalista al quale chi esercita la professione deve attenersi ed ha richiamato le responsabilità degli editori nell’aver svilito una professione sempre più affidata a giovani sottopagati e senza tutele. Omettendo però di dire che al processo Aemilia i cronisti sono tutti professionisti di lunga esperienza. Una difesa buona o debole quanto si vuole ma una difesa, appunto. Perché il seminario non era il confronto dialettico, doveroso e legittimo tra due categorie: avvocati e giornalisti. Era il dibattimento di un processo in cui la prima delle due ha deciso di mettere sotto accusa l’altra.
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Politica
Tajani: “L’Italia non userà fondi di coesione per comprare armi”. Si spacca il Pd: chi sta con Schlein
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "In un mutato e minaccioso quadro internazionale, il piano Ue per la difesa è per i Socialisti e Democratici europei un primo importante passo per assicurare il necessario sostegno all’Ucraina e la sicurezza dei nostri cittadini. A Bruxelles siamo al lavoro perché dal Parlamento venga una spinta forte nella direzione della condivisione e del coordinamento degli investimenti, verso una vera difesa comune europea". Lo scrive sui social l'eurodeputato Pd, Giorgio Gori.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "La linea del Partito Socialista Europeo è chiara, netta ed inequivocabile: il ReArm Europe è un atto iniziale importante per la creazione di una difesa comune europea". Lo scrive la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno del Pd, sui social.
"Non c’è nessuna rincorsa bellicista, nessuna distruzione del welfare e di quanto con fatica abbiamo costruito dopo la pandemia ma solo la necessità di rendere più sicuro il nostro continente e le nostre democrazie. Cosi come fu per il NextGenerationEu siamo davanti ad una svolta storica per l’Unione Europea che punterà su indipendenza strategica, acquisti comuni e innovazione".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - “Per la difesa europea servono investimenti comuni in sicurezza, una sola politica estera, economia forte e società coesa, serve un vero salto di qualità verso gli Stati Uniti d’Europa. Di fronte alle minacce che si profilano bisogna sostenere le nostre capacità di difesa nel modo più credibile, senza frammentare le spese tra gli Stati e neanche dando ancora soldi all’America come vorrebbe Trump. Il punto di vista portato dalla segretaria Schlein al vertice del Pse è stato ascoltato ed è positivo l’accordo dei socialisti europei sui fondi di coesione. Il Pd indica una strada di fermezza, consapevolezza e responsabilità sociale, senza farsi distrarre da alcun richiamo”. Lo dichiara Debora Serracchiani, componente della segreteria nazionale del Partito democratico.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Decidere maggiori investimenti per rendere più sicuro e protetto il nostro continente è una scelta non più rinviabile. La difesa europea è un pilastro fondamentale della nostra autonomia strategica. Non possiamo avere tentennamenti su questo obiettivo. La discussione non è sul se, ma sul come arrivarci". Così Alessandro Alfieri, capogruppo Pd in commissione Esteri e Difesa a Palazzo Madama.
"In questi giorni i nostri a Bruxelles stanno facendo un lavoro prezioso per evitare che si utilizzino i fondi di coesione per finanziare spese militari e per incentivare, attraverso gli strumenti europei vecchi e nuovi, le collaborazioni industriali e gli acquisti comuni fra Paesi Europei, l’interoperabilità dei sistemi e i programmi sugli abilitanti strategici (spazio, cyber, difesa aerea, trasporto strategico). In questo quadro, va salutato positivamente che dopo il Next Generation si consolidi l’idea di emettere debito comune per finanziare un bene pubblico europeo come la difesa".
"Anche perché sarà per noi meno complicato continuare la nostra battaglia per estenderlo agli altri pilastri dell’autonomia strategica, a partire dalle politiche per accompagnare la transizione ecologica e digitale. Un passo importante quindi, come sottolineato dal nostro gruppo a Bruxelles, a cui certamente ne dovranno seguire altri se si vuole davvero rafforzare la nostra difesa comune”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "L’Unione Europea si trova a un bivio: o si presenta unita o rischia la marginalità politica. La guerra in Ucraina, e l’attuale voltafaccia americano, hanno reso evidente l’urgenza di una politica di difesa comune che non può essere frenata dagli interessi delle singole nazioni". Così l'eurodeputato Pd, Pierfrancesco Maran. "Una Difesa progressivamente comune perché, agendo come 27 eserciti nazionali, rischiamo l’impotenza".
"Oggi è necessario un passaggio di fase che aumenti gli investimenti volti a garantire una deterrenza da nuova aggressioni russe dopo il disimpegno americano ma anche a rendere più omogenea la difesa europea, con forniture simili, riducendo le duplicazioni di spese tra paesi e le inefficienze. L’Unione Europea deve dotarsi di una propria architettura di sicurezza, capace di garantire responsività e affermarsi come attore decisivo nello scenario internazionale".
"L’iniziativa della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al di là del nome infelice 'RearmEU', è un primo passo in questa direzione. Va tuttavia integrata e sviluppata identificando con chiarezza quali sono le linee di spesa utilizzate, in che modo questo aiuto può supportare immediatamente l’Ucraina, come si intende sostenere una crescente produzione industriale europea nell’ottica di arrivare ad una vera interoperabilità e difesa comune".
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "Penso che sia l’ennesimo episodio di antisemitismo che vuole legare la guerra in Medio oriente all’insulto alla memoria della Shoah. È terribile". Lo dice all'Adnkronos il segretario di Sinistra per Israele Emanuele Fiano a proposito del ritrovamento nel cantiere del museo della Shoah a Roma di escrementi, una testa di maiale e scritte che ricordano i morti a Gaza oltre ad alcuni volantini pro Palestina sono. Sull'episodio indaga la Digos.
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "La sinistra". Lo scrive su Twitter il senatore del Pd Filippo Sensi rilanciando un post di Pedro Sanchez in cui, a margine del Consiglio europeo straordinario, il premier spagnolo tra l'altro dice: "Oggi dobbiamo mandare un messaggio chiaro ai cittadini: l’Europa è molto più potente di quanto pensiamo. Nessuno minaccerà la nostra pace, la nostra sicurezza o la nostra prosperità".