Il finanziere bretone Vincent Bollorè, che tramite la sua Vivendi è primo azionista di Tim e in queste settimane protagonista di uno scontro con il fondo Elliott per il controllo del gruppo delle tlc, è in custodia in una sede della polizia giudiziaria di Nanterre. È il quotidiano Le Monde a riportare la notizia del fermo per “corruzione di funzionari pubblici stranieri” del miliardario, che con il suo gruppo è anche il secondo socio di Mediobanca e ha in corso un contenzioso con la Mediaset della famiglia Berlusconi dopo il dietrofront sull’acquisto della pay tv Premium. Bollorè è sotto interrogatorio per rispondere all’accusa di aver comprato funzionari stranieri per ottenere le concessioni di due porti in Togo e in Guinea. La notizia, arrivata a mercati aperti, ha affossato i titoli delle società a lui collegate sia alla Borsa di Parigi che a Piazza Affari. Ed è arrivata proprio nelle ore in cui è in corso l’assemblea di Tim (ex Telecom Italia) a Rozzano.
Manager di Havas arrestati martedì
Bolloré, attivo in Italia da almeno 15 anni, è solo l’ultimo dei sodali dell’ex presidente Nicolas Sarkozy a finire nei guai. Gli inquirenti francesi ritengono che i dirigenti di Havas, il gruppo pubblicitario della famiglia Bolloré, per facilitare l’arrivo al potere dei leader africani abbiano fornito consulenze e “missioni di comunicazione” sottofatturate. Agevolazioni per poter mettere le mani sulle concessioni portuali. Prima di Bollorè davanti agli inquirenti sono finiti alcuni manager del gruppo arrestati martedì. Sempre secondo il quotidiano francese sono stati fermati il direttore generale del gruppo, Gilles Alix, e Jean-Philippe Dorent, a capo della divisione internazionale Havas. Gli investigatori, durante una perquisizione avvenuta nell’aprile 2016, hanno sequestrato documenti nella sede del gruppo Bolloré a Puteaux (Hauts-de-Seine). L’ipotesi è che il gruppo abbia usato la sua filiale pubblicitaria per ottenere nel 2010 la gestione dei porti di Conakry, in Guinea e Lomé, in Togo. Già nel 2016, la sede del gruppo Bolloré Africa Logistics era stata oggetto di una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta aperta nel luglio 2012.
La replica del gruppo: “Nessuna fatturazione fittizia”
Cinque giorni Bollorè ha lasciato la presidenza del consiglio di sorveglianza di Vivendi (che detiene il 23,9% di Mediaset) al figlio Yannick, che guida anche Havas. Il gruppo del magnate “smentisce formalmente le irregolarità” che sarebbero state compiute dalla sua filiale SDV Africa fra il 2009 e il 2010. Nella nota si legge che gli interrogatori permetteranno “di fare chiarezza” su questioni già “oggetto di una indagine indipendente che ha evidenziato la assoluta regolarità delle operazioni”. Il gruppo afferma come i sevizi relativi alle fatturazioni fittizie contestate dalla magistratura “sono state effettuate in assoluta trasparenza“. Nella nota si sottolinea come l’indagine segua la “denuncia di un ex dipendente condannato per appropriazione indebita a 3 anni e 9 mesi di reclusione e a un risarcimento danni da circa 10 milioni di euro”.
La corsa per mettere all’angolo Bollorè e difendere Berlusconi
Bollorè, 66 anni, con un patrimonio netto stimato in quasi 8 miliardi di dollari, è diventato protagonista del dibattitto e delle manovre politiche post elezioni per il suo affondo sui gioielli della famiglia Berlusconi. Il fermo arriva mentre Bollorè si gioca in Italia una battaglia cruciale nella guerra per la conquista di Tim. Partita legata a doppio filo con quella per la formazione del nuovo governo. Subito dopo le elezioni, infatti, il fondo americano Elliott – lo stesso che ha finanziato l’acquisto del Milan – è sceso in campo annunciando di aver rastrellato azioni del gruppo delle tlc, chiedendo la revoca di sei consiglieri scelti dai transalpini e scegliendo come proprio rappresentante nel cda Paolo Scaroni, ritenuto vicino a Silvio Berlusconi. Il quale a sua volta ha in corso un contenzioso con il finanziere bretone dopo che quest’ultimo ha fatto dietrofront sull’acquisto della pay tv Premium da Mediaset. Una mossa salutata con estremo favore dall’esecutivo uscente e seguita a stretto giro, non a caso, dall’ingresso della Cassa depositi e prestiti controllata dal Tesoro nel capitale di Tim: preludio, secondo gli analisti, a un accordo con Elliott e al successivo spin off della rete in vista di una fusione con Open Fiber. In questo modo Bollorè è stato messo alle strette: l’unico modo per difendersi è dimostrare di avere il controllo dell’ex monopolista, cosa che però gli imporrebbe di scegliere tra Telecom e Mediaset. Senza contare che a quel punto Vivendi dovrebbe consolidare nel proprio bilancio il debito di Tim.
Lunedì Bollorè, in questa partita, ha vinto un primo round: il tribunale di Milano ha detto no alla richiesta dei sindaci che durante l’assemblea del 24 aprile si votasse la revoca dei consiglieri revocati da Vivendi. Secondo il giudice le dimissioni presentate dai consiglieri in quota Vivendi (compreso il presidente Arnauld de Puyfontaine) sono state regolari, per cui il consiglio è da considerare decaduto e deve essere rinnovato. Lo scontro è rinviato al 4 maggio, nell’assemblea straordinaria convocata per il rinnovo del cda.