Mettete insieme Tondelli, Fitzgerald, Borges e una punta di Insomnia di Nolan con Al Pacino. Agitate senza esagerare, anzi mescolate con calma sfogliando pagina dopo pagina, e otterrete Il signor Ikea (Marsilio). Il racconto romanzato con brio dal giornalista Nanni Delbecchi, su quella che è stata un’impresa giornalistica unica e assoluta nel panorama di giornali e riviste italiane: l’intervista (casuale) al re (oggi defunto) dell’Ikea, ovvero mister Ingvar Kamprad, intervistato realmente una quindicina d’anni fa da Delbecchi. Appunto, Il signor Ikea parte come Rimini di Tondelli.
Un taglio obliquo attraverso l’azione ipoteticamente creativa del mestiere dell’inviato, una scossa elettrica di mutamento dell’esistente che sembra arrivare nel momento in cui l’abitudinario redattore al desk milanese di una rivista di viaggi, colui che immagina tour in remote zone del mondo grazie a Google e agli scatti dei fotografi della testata, deve sostituire una giovane collega in una spedizione verso il Nord della Scandinavia per raccontare del sole che non tramonta mai, di renne e compagnia galoppante.
Così è iniziata la fiaba tra gnomi e librerie Billy, scrive Delbecchi. Fiaba che continua quando per caso, assieme alla guida locale e al fotografo sciupafemmine, anzi sciupasvedesi, intravedono lontano lontano, sul terrazzo di una baita a bordo lago, mister Kamprad con un amico. La guida lo riconosce e sostiene di poter intercedere per un’intervista. A quel punto l’itinerario del nostro protagonista muta di passo e prospettiva. Non più un semplice servizio generico e confondibile da rivista patinata, ma un’intervista da copertina che potrebbe segnare la storia. Ed è qui che Il signor Ikea diventa un godibilissimo e classico romanzo novecentesco. Perché Delbecchi lascia che il suo protagonista si perda dentro un labirinto borgesiano di onirismo e candore dove comincia a confondere realtà e desiderio, riuscendo a rendere partitura da thriller la sveglia mattutina per i puntualissimi treni svedesi. L’invadente luce del sole che non fa mai dormire, accoppiata alla vera mancanza di tapparelle, persiane, tende spesse, rendono complicato lo stacco tra sonno e veglia. Così l’attesa per quell’incontro con Kamprad, che comporta spostamenti e ricongiungimenti precisi solo se si rispetta una rigorosa tabella di marcia nei trasporti, si fa tesa ma fluttuante, febbrile ma mai definitiva, un po’ come la sospensione fascinosa che vive il Nick de Il Grande Gatsby nell’attesa di incontrare Gatsby (che qui è Kamprad con borsa di tela a tracolla per andare a fare la spesa al mercato come un uomo qualunque).
Strutturato su dieci capitoli, perlopiù distinti da singole tratte di territorio da percorrere (Milano-Stoccolma, Linkoping-Almhult, ecc..) Il signor Ikea è un’opera voluttuosa e stilisticamente pulitissima, con decine di false ripartenze, di “immagini consolatorie per addormentarsi”, scenari apparentemente deformati ma assurdamente iperrealisti (che spasso sono, tra gli altri, la descrizione del podomante e del venditore di enciclopedie?) che cullano il lettore dentro uno spazio/tempo dilatato che addolcisce il sapore dolce del ricordo perduto. Lasciamo per ultimo il capitolo del design, le linee rette, che rette non sono (o sono?), l’ennesima pista apparente del racconto che porta perfino ad un’immagine impossibile da ricordare, persa tra i fumi dell’alcol e dello strambo set di un’ammaliante discoteca, come il sesso consumato con la fanciulla Marie Consuelo, esperta di design, ed ex dipendente di mister Kamprad. Dell’intervista a Mister Ikea, infine, che possiamo dire? Beh che qualcuno l’aveva già letta quando uscì nel 2001, e che in fondo, a dire il vero, è stata tutta una curiosa, divertente, e sognante casualità.