Che favola, che poesia, che musica. Ci siamo innamorati in un amen di questo La Melodie, in uscita nelle sale italiane il 26 aprile 2018 grazie a Officine Ubu. Non ce li toglieremo facilmente dagli occhi e dall’anima i primi piani di queste facce colorate di bambini che imparano a suonare il violino in una scuoletta un po’ sgangherata e periferica di Parigi. Un progetto speciale per una classe indisciplinata dove si mescolano origini geografiche, caratteri irrequieti, e amicizie in divenire, con l’obiettivo del saggio finale alla Filarmonica di Parigi. Ad aiutare il professore di musica arriva Simon, un silenzioso e dimesso violinista di pregio (interpretato dalla star francese Kad Merad) che proprio all’inizio non riesce a calibrare quel minimo di disciplina e concentrazione con la strabordante aggressività dei ragazzini. E non per fare paragoni con la cronaca (italiana, perlopiù), ma quando il ragazzino più focoso offende ferocemente il violinista questo non ci pensa due volte a prenderlo per il bavero e ad appenderlo al muro.
I classici contrasti individuali, il gruppetto orientato dal bullo, qualche sguardo tra maschi e femmine, ma soprattutto l’innocenza sincera e pura di Abou (Youssouf Gueye), bambino cicciottello che sbircia di nascosto dal vetro i compagni che imparano a suonare e vuole starci anche lui. Ovvio, Abou è un talento, ma non ci sono sapientini da esaltare. Il ragazzino piange, invece, la misteriosa assenza del padre mai conosciuto, poi fugge sui tetti altissimi di Parigi e suona le corde del suo violino come un gatto solitario per non essere ascoltato da nessuno. Simon che oltretutto appare come svuotato dagli stimoli e dall’energia di una carriera ad alto livello, nel tenace e dolce esserci di Abou ritrova uno spiraglio per tramandare conoscenza e desiderio di integrazione oltre ogni differenza a tutto il gruppo di neo musicisti.
Il regista Rachid Hami semplicemente non sbaglia un colpo. Ha una storia densa e toccante da raccontare, ha in mano la bomba dell’adolescenza, e il rischioso cliché dell’adulto/insegnante alla professor Keating. E niente: Hami mette in ordine tutti i fattori e lascia perfino che una dose di tecnica e di cura espressiva s’impossessi della sua messa in scena, con una macchina da presa spesso a mano dentro interni impervi con violini stridenti, e una vivacità nell’aprirsi e cogliere la naturalezza di bimbi ed adulti. Il messaggio che arriva forte e chiaro, quando si è tutti imbestialiti (non diciamo di certo a torto, ci mancherebbe) dalla quotidianità del caos, è che solo in gruppo, insieme, creando una comunità con ruoli definiti e rispetto dell’altro, proprio come in un’orchestra, si possono superare gli ostacoli della vita e si può persino sognare.
Diteci voi, allora, nell’annosa querelle tra cinema d’autore e popolare/commerciale, che cosa deve fare un film se non farci sognare per un attimo? Merad, solitamente comico di grana grossa ad interpretare i più grandi successi della commedia francese degli ultimi vent’anni (ricordate Giù al Nord?), è qui insolitamente cupo e a tratti perfino sinistro, in questa sua tutta interiore dolorosa ricerca di nuova linfa per continuare a sperare nella vita. Sequenza da incorniciare per semplicità e destrezza nello stare oltre la media dei simbolismi telefonati: prima di salire sul palco della Filarmonica i ragazzi finalmente uniti si fermano per alcuni interminabili attimi in un tunnel. La scena è invasa da una luce blu. Figure intere di spalle, primi pian di tre quarti, dettagli, ancora primi piani. Un colore solo e neutro dove si sciolgono i singoli colori della pelle dei ragazzi, e si fondono tutte le speranze di un sorriso oltre le lacrime. Finalmente.