Durante un recente convegno, mi ha avvicinato un giovane italiano che non conoscevo. Si è presentato come allievo dottore di ricerca in una prestigiosa università inglese, dopo la laurea presso l’Imperial College di Londra. Un cervello espatriato subito dopo le superiori, dunque; e perciò anomalo rispetto ai molti che lo fanno dopo aver concluso l’intero ciclo degli studi in Italia. Il suo caso – mi son detto – ha fatto risparmiare al contribuente italiano otto costosi anni di alta formazione. “La conosco bene perché a Londra studiamo sul suo testo” ha esordito. E non aveva alcuna ragione, a prima vista, per compiacermi.

Che qualcuno usi un libro ponderoso, frutto di anni di lavoro, fa ovviamente piacere: gonfiare come un rospo è un esercizio non troppo difficile, anche alla mia pesante età. In Italia quasi nessuno usa quel testo, neppure dove s’insegna in globish. Magari lo si scopiazza qui e là, trasferendolo nelle proprie dispense per onorare l’arte del “taglia e incolla”, ma nulla più.

Stavo per rispondere: “Splendida notizia! E usate la versione cartacea o quella digitale, che si trova in rete anche piratata?” ma mi sono trattenuto, replicando con un più banale: “Davvero?”. Invero, so che quel testo vaga attraverso i nodi nella rete grazie alle confidenze degli studenti che tempo fa mi confessarono ciò che (forse) non andrebbe divulgato. E avevo subito avvertito l’editore: neppure io posseggo la versione edita in digitale ma ne avevo solo le sei copie cartacee di cortesia, da tempo fatte fuori.

Un altro nostro libro, pubblicato in Usa più di vent’anni fa, fu tradotto e pubblicato in cinese, distribuito da quelle parti senza che la casa editrice ne sapesse nulla. Alcuni librai online lo vendevano perfino usato e sgualcito, ma non si trova più: peccato che sia svanito dall’orizzonte! Ogni pagina conteneva un bel numero di equazioni e formule e – grazie ai pirati cinesi – compresi che la vera lingua universale è la notazione matematica, almeno nelle discipline quantitative. E mi feci la fantasia di poter insegnare la statistica degli estremi anche in cinese, senza troppa fatica.

La pirateria è sempre un danno? Nessun dubbio che produca un danno economico e (per di più) limiti la libertà di esprimere il pensiero e in definitiva soffochi la creatività. In alcune circostanze, però, il danno è limitato e il beneficio non irrilevante. Nel nostro caso, davanti a una platea disciplinare non molto vasta, il danno colpisce soprattutto l’editore, giacché il diritto d’autore è talmente modesto da ripagare pochi centesimi ogni giorno di lavoro. Il danno è quindi irrilevante per gli autori che, per contro, godono del beneficio di un riconoscimento universale; e non è cosa da poco, sia per l’autore inglese e sia perfino per il co-autore genovese, aimè. Mettere a repentaglio l’editoria, però, è molto pericoloso, poiché limita la trasmissione della conoscenza e mina la condivisione del sapere.

Il discorso sulla pirateria digitale è certamente più complesso quando riguarda anche i film e la musica, non solo i libri e le pubblicazioni scientifiche, dove l’open access si sta peraltro diffondendo. Nel 2015 la Commissione europea aveva promosso uno studio su questo tema, tramite una società olandese, con risultati molto interessanti e per alcuni versi sorprendenti. Peccato che il nostro Paese non fosse tra quelli esplorati dall’indagine (Francia, Spagna, Germania, Polonia, Regno Unito e Svezia). E varrebbe certo la pena di sondare quanto accade da noi, una nazione ritenuta anomala anche sotto questo profilo.

Questa ricerca non fornisce risultati esaustivi ma indirizza comunque i futuri approfondimenti, proponendo conclusioni di metodo non banali. E lascia una speranza agli autori di libri e agli editori, perché «i risultati non mostrano una solida evidenza statistica di spostamento delle vendite dovuta a violazioni online del copyright». Con l’eccezione dei film, purtroppo.

Anzi, la ricerca indica una correlazione positiva tra vendite legali e appropriazioni illegali: più un libro viene piratato, più viene venduto. Certo, potrei anche scrivere: più un libro viene venduto, più viene piratato. C’è chi lamenta il bicchiere mezzo vuoto, chi si consola perché lo vede mezzo pieno. E poi c’è chi è meno ottimista ma vagamente più cinico: “Vedo il bicchiere mezzo pieno, ma di veleno”.

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