Le elezioni consegnano un Nord leghista e un Sud grillino, così da presentarsi le questioni meridionale e settentrionale. In un quadro frammentato, il comune denominatore è dato dai veti tra le forze politiche. Il dato è che il bipolarismo di centrodestra e centrosinistra è diventato un tripolarismo confuso a vasi comunicanti: l’elettorato del Partito democratico va verso i cinquestelle, mentre all’interno del centrodestra – un cartello elettorale – si è avuto un trasferimento di voti da Forza Italia alla Lega.
Per arrivare alla definizione di punti programmatici con cui possa palesarsi una maggioranza assoluta in Parlamento, andrebbero interpretati i flussi degli elettori.
Il Pd ha ceduto il voto popolare ai cinquestelle, tenendo per sé parte del voto delle classi più agiate. Non i gruppi dirigenti, ma l’elettorato congiunto dei cinquestelle e del Pd esprime la fotografia dei bisogni nella società. C’è tra questi due mondi un fraintendimento: l’uno deve accogliere il buono dell’altro! Non esistono maggioranze e opposizioni, perché tutti nell’attuale sistema elettorale hanno il filo dell’iniziativa. Quel che conta è quanto la proposta sia alta. Allora può essere utile riprendere la Costituzione.
Su questo, i professori Alberto Lucarelli e Ugo Mattei invocano un governo costituzionale. Alla luce dei flussi elettorali, il Pd ha il dovere di elaborare una proposta che dia sviluppo alla Costituzione per intercettare quel voto democratico andato verso i cinquestelle. E con questi ultimi dialogare. Sarebbero necessari pochi punti: diritto al lavoro e libertà di impresa come utilità sociale, istruzione, ambiente, beni comuni, Europa sociale, bilancio dello Stato. Il punto di arrivo sia l’uguaglianza sostanziale. Attenzione, non si parla di poltrone.
1. Sul lavoro è necessario muoversi nell’ottica di un principio pluridimensionale: eliminazione delle barriere di accesso, stabilità del rapporto e dignità del lavoratore, in combinato disposto con l’utilità sociale dell’impresa.
2. Sull’istruzione bisognerebbe porre fine a questo modello aziendalistico: in Costituzione è proclamata l’assoluta libertà della cultura in tutte le sue forme, l’intervento del potere pubblico si muova nell’ottica della fondazione di un sapere critico in un mondo globalizzato. Il principio personalistico è l’antitesi al modello uniforme di cittadino globale.
3. Sull’ambiente, andrebbe promossa l’iniziativa di una valutazione sovranazionale dei rischi ambientali, cedendo quote di sovranità a favore dell’Onu: nel solco dell’articolo 11 della Costituzione creare l’atomo di un governo mondiale.
4. Urge una riflessione sui beni comuni – anche con il rilancio della Commissione Rodotà – che assolvono a una funzione di interesse sociale, alla luce della crisi dello Stato sociale e la privatizzazione dei beni pubblici; si attui la volontà popolare espressa da oltre 27 milioni di cittadini nel 2011. In base alla categoria di bene comune, i cittadini esercitano diritti individuali esclusivi facendo prevalere l’interesse generale. È necessaria quindi una modifica dell’articolo 42, per un riconoscimento di questa categoria: si esce dalla logica del singolo e si passa al soggetto collettivo.
5. Anche per quanto riguarda la democrazia partecipativa e il reddito di cittadinanza, il faro è la Costituzione nel rispetto della sovranità popolare. Che si esprime nelle variegate dimensioni della democrazia: non soltanto di quella della rappresentanza, ma anche di quella diretta e di prossimità. Il reddito di cittadinanza va declinato nell’ambito dell’art 38 della Costituzione, che impone l’obbligo alla Repubblica di intervenire in presenza di situazioni di disoccupazione involontaria.
6. Sull’Europa si attui la european clause all’art. 11 nell’ottica della costruzione di una democrazia federale sovranazionale. Si ritorni alla dimensione sociale e non a Maastricht.
Bisogna prendere atto che gli Stati nazionali non possono misurarsi con il contesto globale: l’economia e la finanza vanno al di là del perimetro delle istituzioni nazionali, le cui decisioni, e quindi la rappresentanza e la volontà popolare, sono deboli. Sul bilancio dello Stato, smettiamo di considerare le politiche pubbliche un mero calcolo. Altrimenti sfuma l’essenza dello Stato sociale come protezione collettiva. Il gioco perverso dell’attenzione ai bilanci per portare soldi nelle casse ha deresponsabilizzato gli Stati, che hanno ceduto ad acquirenti privati fabbriche inefficienti e servizi costosi. È stato un azzardo morale che ha sfaldato il tessuto sociale.
Per medicarlo, serve un’impresa politica da parte del Partito democratico chiamando a raccolta i cinquestelle, i movimenti e i comitati; siamo concordi che qualcosa non va: ingiustizia, immoralità e disuguaglianza sono familiari ai nostri elettorati. Dovrebbero i gruppi dirigenti tornare ad esprimerle. Nell’immediato, il non aver celebrato l’assemblea nazionale non è stato un bel segnale: è mancata la discussione. Dunque sarebbe saggio riconvocare una direzione – alla luce degli sviluppi – che aggiorni una decisione presa a caldo dopo la sconfitta: non era quello il momento per dettare la linea politica del partito.
Mi piacerebbe che la prossima direzione nazionale discutesse di questi punti. In questa fase sono necessarie la responsabilità e la congruenza, da restituire al valore originario.