Dopo essersi rifiutato di firmare il provvedimento di nomina di un commissario in un ente vigilato dalla Regione Lazio, è stato immediatamente rimosso dalla direzione dell’Anticorruzione dal presidente Zingaretti. Il motivo del mancato avallo, da parte dell’ormai ex responsabile Anticorruzione Pompeo Savarino, non era da poco, avendo scoperto che il candidato commissario, Stefano Acanfora, aveva dichiarato il falso omettendo di essere titolare di cariche e qualifiche in alcune società private. Siamo al 19 di marzo, e questo racconta allora il Corriere della Sera.

Quello stesso giorno Savarino, oltre a segnalare la questione al direttore del personale della Regione Alessandro Bacci, presenta una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma per dichiarazioni false da parte di Acanfora. Due giorni dopo il presidente Zingaretti revoca la direzione “attività di controllo e vigilanza” assegnata a Savarino e con una seconda delibera dà indicazione di un nuovo responsabile.

La Regione Lazio dice di aver ‘solo’ modificato l’assetto organizzativo sopprimendo la direzione presieduta da Savarino, ma non ha risposto alle domande de ilfattoquotidiano.it. Al Corsera invece ha sottolineato che Savarino “nel gennaio 2018 ha organizzato, in qualità di presidente di Agdp (Associazione di dirigenti e funzionari) un convegno nel quale criticava l’Anac, l’Autorità nazionale anti corruzione.

Tuttavia, la rimozione di Savarino è stata censurata proprio dall’Anac che, in una lettera inviata alla Regione Lazio il 19 aprile, ha sottolineato la ravvicinata coincidenza tra la denuncia e la sua rimozione e ha chiesto di riesaminare il provvedimento di revoca, sottolineando che la disposizione emessa a suo carico è inefficace “sino a conclusione del procedimento”. In pratica l’Anac ha chiesto alla Regione Lazio di reintegrare Savarino fino al riesame del procedimento di revoca dandole 30 giorni di tempo. La Regione, al momento, non ha dato seguito al sollecito e anche su questa vicenda non ha risposto al Fatto.

Quanto ad Acanfora, la sua posizione sembra ancor più scomoda di quello che appare. Lo scorso febbraio la Regione Lazio, dopo aver evidenziato alcune criticità di natura finanziaria e contabile di Villa Piccolomini, bene prestigioso dell’Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficienza della Regione), decide di commissariare l’istituto e indica per l’incarico Stefano Acanfora, già direttore, dal 2016, della Centrale acquisti regionale.

L’iter prevede che il direttore regionale Controllo e vigilanza avalli la nomina. Ma il responsabile di allora, Pompeo Savarino, a capo anche dell’anticorruzione, dopo l’istruttoria sul profilo del candidato scopre che Acanfora ha dichiarato il falso, attestando di non ricoprire incarichi esterni alla pubblica amministrazione mentre, secondo Savarino, non è così. Le carte, che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, sembrano dargli ragione. Sul registro imprese della Camera di Commercio risulta che Acanfora, al momento della candidatura a commissario, ricopriva dieci incarichi in altrettante società private. Sempre dall’archivio ufficiale risulta che Acanfora ha ricoperto in passato 176 incarichi in 148 imprese. Un macigno, rispetto all’altro incarico che Acanfora ricopre dal 2016: quello di direttore della Centrale acquisti regionale che si occupa proprio di appalti alle ditte private. Ammesso che gli incarichi siano terminati prima della sua nomina, resta il tema del conflitto d’interessi tra i ruoli pregressi e quello di direttore della Centrale acquisti.

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