A giugno, per la prima volta, agli esami di Stato delle scuole medie ci saranno pure gli insegnanti di religione. In che modo e per fare cosa non è chiaro a nessuno, nemmeno a loro. Ma il ministero dell’Istruzione ha voluto così, per scelta precisa o forse semplicemente per sbaglio (anche questo non è del tutto chiaro). E così adesso presidi e segreterie devono prepararsi ad affrontare anche quest’altro problema, in vista delle prove ormai imminenti.
La novità, infatti, è abbastanza clamorosa: i docenti di religione fino ad oggi non erano mai stati coinvolti negli esami, il loro percorso si concludeva negli scrutini di fine anno che decide l’ammissione o meno degli alunni; ora, invece, faranno parte anche delle commissioni d’esame. In realtà, nessuno l’ha annunciato in maniera esplicita: la partecipazione è un effetto, chissà quanto voluto, delle ultime modifiche normative. Nell’ambito delle varie deleghe della Buona scuola, il Miur di recente ha riformato le prove conclusive dei vari cicli scolastici: per la terza media, ad esempio, è stato eliminato il test Invalsi (anticipato a metà anno, con valore solo ai fini dell’accesso ma non del voto finale), con solo tre prove scritte (italiano, matematica e lingua straniera) e un colloquio orale. Per far questo sono state abrogate delle vecchie norme e scritti dei nuovi decreti. Ed è qui che entrano in ballo i circa 4mila docenti di religione della scuola secondaria di primo grado.
Il testo di riferimento in precedenza indicava una per una tutte le materie richieste (italiano, storia, geografia, matematica è così via fino all’educazione fisica), e di conseguenza i docenti esaminatori, escludendo quelli di religione, che secondo quanto previsto dal Concordato del 1929 non rappresenta oggetto d’esame. Quel comma è stato abrogato, per una generale semplificazione normativa. La nuova legge che regola l’esame di terza media, però, dice una cosa un po’ diversa: il decreto legislativo 62/2017 liquida la questione in mezza riga, spiegando che “la commissione d’esame è composta da tutti i docenti del consiglio di classe“. E fra questi ci sono senza dubbio anche gli insegnanti di religione, che a rigor di logica (anzi, di legge) si ritroveranno catapultati per la prima volta all’interno degli esami di Stato.
I testi ministeriali, però, non aggiungono altro: non citano mai esplicitamente i docenti di religione, né chiariscono quale dovrà essere il loro ruolo visto che la materia resta fuori dalle prove. Tanto che qualcuno è arrivato persino a mettere in dubbio le reali intenzioni del Miur: più che una scelta rivoluzionaria, la loro partecipazione sembra quasi una svista normativa. Anche a questo dubbio non sono arrivate risposte: negli ultimi incontri con i sindacati che chiedevano lumi, i vertici di viale Trastevere si sono limitati a ribadire che la legge è quella e va applicata. Anche se questo comporta una serie di problemi. Specie di tipo organizzativo: con una sola ora a settimana prevista nei programmi didattici, un docente di religione per raggiungere il monte di 18 ore ha 18 classi diverse, che vuol dire 6 terze, a volte distribuite in più istituiti nei casi frequenti di succursali e sedi distaccate. Permettere la loro presenza a tutte le prove sarà un rebus quasi irrisolvibile per le segreterie, che rischia di complicare (e rallentare) il calendario degli esami.
Non a caso la notizia è stata accolta in modo contrastante nel mondo della scuola: presidi e uffici sono preoccupati di avere un’altra grana a cui pensare. I docenti si dividono, tra chi lo prende come un riconoscimento e chi invece ne avrebbe fatto volentieri a meno. Tra questi Antonio Cataldi, che insegna in un istituto della Capitale: “Il ministero ha sbagliato, ma chiedere un atto di umiltà a un’istituzione è troppo: non ammetteranno mai l’errore, e noi ci ritroveremo in commissione senza arte né parte. Almeno si prendano la responsabilità di dire che dobbiamo fare i passacarte”. Più conciliante Orazio Rustica, segretario del sindacato di categoria Snadir: “La commissione non valuta l’alunno solo nelle singole materie, ma la sua preparazione complessiva: parteciperemo a questo processo e se questo significa dare valore al nostro ruolo lo accettiamo con favore. A questo punto, però, pure la religione dovrebbe diventare oggetto d’esame, visto che il suo insegnamento è molto cambiato rispetto al passato e non ha più la vecchia impronta catechesimale. Certo – ammette il sindacalista – la novità porta una serie di inconvenienti logistici non da poco: d’ora in poi pianificare le prove sarà molto più difficile”.