Cultura

25 aprile, Adelmo e gli altri: in una mostra a Bologna le storie degli omosessuali al confino

Fino al 5 maggio al Cassero di Bologna il risultato del lavoro di ricerca di Cristoforo Magistro sui gay spediti in provincia di Matera: Adelmo, Elio, Giuseppe, Catullo. "Non solo erano perseguitati dal regime, ma non venivano accettati neanche dalle famiglie. Fino ad essere ridotti, in alcuni casi, a vivere come clochard"

di Silvia Bia

Adelmo che aveva appena 18 anni quando venne mandato al confino. Elio che faceva il ceramista e veniva spesso seguito e picchiato dai carabinieri, per poi finire denunciato per avere organizzato una cena con altri due ragazzi. Giuseppe, siciliano di 22 anni, morto suicida dopo essere stato confinato per il suo

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rapporto con un marchese. Catullo, confinato a 51 anni per la seconda volta nella sua vita. Sono alcuni dei tanti uomini che sotto il regime fascista vennero perseguitati, arrestati e confinati perché omosessuali. A riportare alla luce le loro storie, finora rimaste sepolte negli archivi storici, è stato Cristoforo Magistro, insegnante di storia in pensione e ricercatore per passione, che ha ricostruito la storia di 29 persone confinate nella provincia di Matera. Quello che emerge è una piccola Spoon River fatta di nomi, soprannomi, foto e aneddoti parziali, ricostruiti attraverso le carte di polizia e gli atti giudiziari analizzati dal professore negli archivi di Aliano, il paese del confino di Carlo Levi, e di Matera. Il suo lavoro è raccolto nella mostra Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali nel Materano, progetto di Agedo Torino che sarà visibile al Cassero lgbt center di Bologna fino al 5 maggio e che presto diventerà un libro.

“Ho sempre notato che la Resistenza è un argomento molto studiato, ma solitamente si parla solo dei confinati politici, dei grandi protagonisti – ha spiegato Magistro a ilfattoquotidiano.it – Io invece mi sono voluto occupare dei meno eccelsi, dei non notabili. Insomma, le persone comuni”. Setacciando oltre mille fascicoli, il professore si è trovato di fronte a un tesoro inedito, difficile anche da catalogare. L’idea è stata quella di lavorare per categorie, scegliendo le minoranze confinate: prima un lavoro sulle donne, poi gli zingari e infine gli omosessuali. Sono questi i protagonisti di Adelmo e gli altri: 28 uomini provenienti da tutta Italia e una donna, Gilda, confinata nel 1940 perché tenutaria di una casa di tolleranza nella quale si consumavano rapporti omosessuali, che pur nella sua condizione era timorosa di Dio, tanto da scrivere lettere alle sue parenti chiedendo di pregare per lei e inviarle santini. “Sono tutte storie uniche. Qualcuno di questi uomini si sposò, altri fecero una brutta fine – continua Magistro – ma un elemento che li accomuna è che tutti vennero accolti bene dalla gente del posto”.

I documenti sui confinati dell’epoca sono rimasti inaccessibili per settant’anni, coperti dal segreto previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, perché contenenti dati personali sensibilissimi che riguardano la sfera sessuale. Per questo finora delle persecuzioni nazifasciste degli omosessuali si è sempre parlato poco, anche se già dagli anni Venti, ancora prima delle leggi razziali del 1938, il fascismo sanzionava le condotte omosessuali, occultandole con il confino perché considerate lesive del culto della virilità. “Le categorie considerate più pericolose e difficili da collocare erano gli zingari e gli omosessuali – spiega l’insegnante – In particolare, gli omosessuali facevano paura perché si temeva che la loro presenza potesse diffondere il contagio di quella che era considerata una sorta di malattia”.

Nel 1943 il regime cancellò il confino per gli omosessuali, ma le persecuzioni continuarono con il controllo affidato agli organi di polizia, con l’ammonizione e la stigmatizzazione delle pratiche omosessuali. “Oltre alle persecuzioni poi, alcune di quelle persone vivevano una condizione dolorosa anche perché non venivano accettate dalle proprie famiglie – racconta Magistro – Alcuni erano stati allontanati e si erano ridotti a vivere come clochard. Altri non erano in grado di comprendere la propria identità sessuale e avevano chiesto aiuto a medici o a preti”. Tra le storie ritrovate ci sono anche quelle di alcuni giovani veneziani, perlopiù disoccupati o provenienti da famiglie disagiate, che si prostituivano per i turisti stranieri in visita in città, che subirono una vera e propria repressione. Venezia infatti, spiega il professore, era considerata meta di turismo omosessuale per nobili e intellettuali e il regime fascista si produsse in retate condotte dalla polizia e dalle camicie nere. Sanzioni, arresti, pestaggi sono nei verbali della polizia rinvenuti, all’ordine del giorno nelle biografie dei protagonisti della mostra Adelmo e gli altri, che lontani dai loro luoghi di origine e ridotti in miseria, spesso senza una casa, cercarono di rifarsi una vita con espedienti e stratagemmi, anche se non tutti ci riuscirono.

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