La Corte d’Appello di Londra ha rigettato il ricorso dei genitori del piccolo Alfie Evans contro il rifiuto di autorizzare il trasferimento del bambino da Liverpool a un ospedale italiano. Respinta sia l’argomentazione dell’avvocato del padre Tom, che contestava un giudizio precedente errato, sia quello del legale della madre Kate, che puntava sulla sopravvivenza inaspettata del bambino nonché sulla cittadinanza italiana che gli è appena concessa per invocare la libertà di circolazione interna all’Ue, di cui il Regno fa ancora parte. Il team legale della famiglia aveva fatto sapere che un’aeroambulanza era fuori dall’ospedale, pronta a portarlo in Italia. La nuova udienza era stata fissata dopo il no del giudice dell’Alta corte per il trasferimento in Italia. I giudici dell’Alta corte avevano aperto al suo trasferimento a casa, escludendo però quello all’estero.
“Alfie Evans sta morendo”, aveva detto il giudice aprendo l’ennesima udienza per decidere il destino del piccolo di 23 mesi, affetto da una malattia neurodegenerativa. Il papà Tom ha minacciato di far causa a tre medici dell’Alder Hey Hospital di Liverpool per cospirazione finalizzata all’omicidio del figlio e fa sapere di aver già preso contatti con investigatori privati per istruire il caso. Il bimbo “comincia a essere in difficoltà e ha bisogno urgente d’assistenza”, aveva affermato il nuovo avvocato entrato in scena per rappresentare la madre di fronte alla Corte d’Appello.
“C’è un consenso generale” che Alfie ormai “stia morendo”, ha detto Lady King, una dei tre giudici della Corte d’Appello. Parole a cui l’avvocato difensore Diamond ha risposto ammettendo che in queste ore si è verificato “un cambiamento significativo di circostanze” come conseguenza del distacco dei macchinari salvavita ma che Alfie “respira ancora”. E che papà Tom chiede di “non lasciar nulla d’intentato” finché possibile. Il suo messaggio è ancora: “Salvate mio figlio“. L’uomo ha anche postato un video da Liverpool su Facebook per affermare che suo figlio resiste, che “si è ripreso per la terza volta”, che “il guerriero lotta ancora”. “È tornato, ha avuto solo un calo, è diventato pallido, le labbra si sono un pò scurite, ma è tornato”, scrive Tom. “Voglio solo che tutti sappiano che Alfie si è stabilizzato”, insiste.
Poco prima Evans aveva raccontato ai media britannici che il bambino “sta combattendo” e “ha vissuto come farebbe qualsiasi altro bambino, per 36 ore” da quando è stato staccato il respiratore. Per l’uomo, che sta conducendo una battaglia legale per portare il bambino in stato semi-vegetativo in Italia, appoggiato da organizzazioni e gruppi cattolici, la reazione del figlio di 23 mesi al distacco dalla macchina è “totalmente inattesa” e “dimostra” che i medici si sono sbagliati, anche perché il piccolo “sta meglio ora che quando era collegato alle macchine”. Parlando a ITV, Evans avevaaggiunto che gli specialisti “hanno iniziato a nutrirlo solo ieri all’una”, e che “il modo in cui viene trattato è disgustoso, nemmeno un animale sarebbe trattato così”. “È tempo che ad Alfie sia fatta la grazia, riconosciuta la dignità di tornare a casa o andare in Italia“.
L’Italia si era detta pronta ad accoglierlo, ma la giustizia britannica ieri aveva ribadito il no. Nella sua stanza dell’Alder Hey Hospital di Liverpool il piccolo ha continuato a respirare da ore, con la spina ormai staccata. Una resistenza inattesa che ha alimentato le polemiche, nel Regno e soprattutto in Italia, costringendo la magistratura a riesaminare anche oggi il casor. Senza produrre però, almeno all’apparenza, cambiamenti sostanziali. Il giudice d’appello dell’Alta Corte britannica Anthony Hayden, l’uomo che nei giorni scorsi aveva dato il via libera ad interrompere il sostegno alle funzioni vitali a questo bambino di 23 mesi colpito da una grave patologia neurodegenerativa mai diagnosticata esattamente, alla fine non è tornato sui suoi passi, salvo che su un punto. Chiedere ai responsabili dell’Alder Hay di valutare se consentire a mamma Kate e papà Tom, protagonisti 20enni d’una battaglia infinita di riportare a casa il loro bambino.