Era stato arrestato il 13 gennaio del 2013 con l’accusa di “favori in cambio di sesso”. L’ex magistrato, Roberto Staffa, è stato condannato a 11 anni dal tribunale di Perugia per concussione in relazione a presunti favori fatti in cambio di rapporti con alcuni transessuali (la concessione di temporanei permessi di soggiorno), anche nel proprio ufficio di piazzale Clodio dove era in servizio. La sentenza è stata emessa poco dopo la mezzanotte scorsa al termine di una camera di consiglio durata 14 ore.
Secondo l’accusa, sostenuta in aula dal pm Gemma Miliani, Staffa “almeno in due occasioni” avrebbe avuto incontri intimi con l’amante di un boss per il quale avrebbe espresso parere favorevole alla concessione degli arresti domiciliari a casa della donna. All’inizio del processo i giudici di Perugia hanno ritenuto inutilizzabili i filmati delle telecamere piazzate dai carabinieri nell’ufficio di Staffa in procura. L’ex magistrato è stato condannato anche per avere violato il sistema Rege “al fine di rilasciare informazioni alle parti processuali” e per detenzione di materiale pedopornografico. Staffa ha comunque sempre rivendicato la correttezza del proprio comportamento.
Gli accertamenti erano partiti proprio da una segnalazione della procura di Roma circa comportamenti anomali di Staffa. Il pm, recentemente, non era stato riconfermato nel pool della Direzione distrettuale antimafia. La notizia dell’esecuzione della misura cautelare aveva provocato sconcerto a piazzale Clodio, proprio perché il magistrato avrebbe anche consumato alcuni dei rapporti sessuali nel suo ufficio. Il provvedimento era stato deciso dopo mesi di indagini con microspie e telecamere piazzate nella stanza che avrebbero permesso di raccogliere indizi. A mettere nei guai Staffa erano state le dichiarazioni fatte da un transessuale fermato a Roma nel corso di una operazione anti prostituzione. Il viado aveva riferito di aver avuto favori in cambio di sesso da parte del magistrato. Da qui le indagini coordinate per competenza dalla procura di Perugia, che attraverso l’uso di telecamere nell’ufficio del pm, avrebbe trovato i riscontri alle accuse.