“L’Italia è un Paese vecchio, governato da vecchi, per vecchi”. Nel 2012, cinque giorni dopo la laurea in Biotecnologie mediche alla Sapienza, Alessandro Dasti era già a Londra “con la speranza di trovare un dottorato”. Dopo un anno in Inghilterra, uno in Francia e tre in Spagna, il ricercatore italiano non pensa minimamente di rientrare. “La nostra classe politica? È talmente autoreferenziale che non ha la benché minima idea di dove stia andando il futuro”. Dopo la laurea alla Sapienza con il massimo dei voti, Alessandro, romano, ha cercato fortuna nel Regno Unito “senza grandi risultati”. Grazie ad una borsa di studio europea è riuscito ad ottenere uno stage all’Istitut Curie di Parigi, e prima di trasferirsi a Barcellona, al Centre Regulació Genòmica. Oggi si occupa di ricerca su cellule staminali embrionali.

Differenze? Tante. “Il mio stage post laurea in Francia era finanziato da una borsa. Una volta scaduti i termini mi hanno offerto un regolare contratto di lavoro, abbinato da un salario di livello – ricorda Alessandro –. In Italia, invece, nel mio laboratorio ad esempio c’erano ricercatori spesso molto qualificati costretti a lavorare per lunghi periodi senza retribuzione, o senza un contratto stabile”. A Parigi Alessandro ha avuto la possibilità di partecipare a diversi lavori di ricerca, firmando gli articoli pubblicati. “Cosa che non sempre avviene in Italia – spiega – dove i nomi vengono messi per convenienze politiche. Capita, così, che l’autore principale dell’articolo venga scavalcato da persone che nemmeno sanno cosa ci sia scritto sull’articolo stesso”, sorride.

Nel mio laboratorio in Italia c’erano ricercatori qualificati che lavoravano senza essere pagati

Al Centre Regulació Genòmica di Barcellona il mondo scientifico e quello accademico è sicuramente “meno verticistico e più orizzontale – aggiunge – Si guadagna autorevolezza su ciò che si produce e non per un mero fattore legato all’età. Inoltre – continua – il settore della ricerca è molto più libero”. Un esempio? Il ricercatore romano si sta occupando di sperimentazioni su una famiglia di proteine ed il loro ruolo durante il differenziamento di cellule staminali embrionali.

A Barcellona la giornata si sposta più avanti rispetto a quella tipicamente italiana. Si comincia intorno alle 9 partendo dagli esperimenti con approcci di biologia cellulare e molecolare. Dopo aver pranzato con gli altri colleghi del laboratorio, si passa alle analisi dei dati “e magari si studiano un po’ di articoli nuovi, per rimanere aggiornati sul tema di ricerca”. La differenza principale è che “qui riesco a dedicare tempo a me stesso. A Roma il tempo fuori dal laboratorio lo passavo imbottigliato nel traffico o aspettando un mezzo pubblico”.

L’Italia non garantisce la meritocrazia, allontana le eccellenze autoctone e non ne attrae

Grazie alla ricerca Alessandro è riuscito a vivere in Paesi diversi, conoscere persone che vengono da tutto il mondo e scoprire abitudini e culture diverse dalla nostra. In più viaggiare “mi ha permesso di imparare lingue che mai avrei immaginato di parlare fino a qualche anno fa”. Il problema italiano sta proprio qui, nella scarsa capacità di attirare persone da fuori: “Non parliamo solo di fondi, ma di un sistema in sé che è fatto male – continua Alessandro –. Non garantisce la meritocrazia, allontana le eccellenze autoctone e non ne attrae”. Al Crg il mondo accademico è più internazionale e molto meno formale. “Inoltre ho l’impressione che in Italia le relazioni capo-ricercatori-studenti siano molto meno orizzontali e ci sia molta più riverenza per quello che dice il capo”.

Ritornare? Alessandro al momento non ci pensa. “Qui si vive bene. Mi sposterei solo per andare in altre zone della Spagna, ma non in Italia. Ad oggi non credo che il mio Paese possa garantire un futuro decente per un giovane”. E aggiunge: “Il Crg è un emblema per la vostra rubrica – conclude Alessandro –. Il centro infatti ospita un’importante popolazione di cervelli italiani in fuga, rappresentando la comunità straniera più numerosa”. Si tratta di ricercatori che occupano tutte le posizioni, da tecnici di laboratorio fino a direttori di ricerca che hanno pubblicato sulle migliori riviste scientifiche del settore come Cell e Nature. “Qui su 519 ricercatori 59 sono italiani, quasi il 12 %. Tra questi, 4 Principal Investigators”.

Alessandro ci tiene a ribadire un concetto. “Non voglio dare l’impressione che all’estero sia tutto positivo e penso sia giusto essere riconoscente al Paese che mi ha formato. Ma l’Italia ad oggi è ferma e senza prospettive. Siamo un Paese dal grande passato, che però – conclude – crede di poter vivere solo su questo”.

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