La stima di crescita del pil nel 2018 resta all’1,5% per motivi “prudenziali“. Ma soprattutto perché i dati Istat sull’andamento del primo trimestre, quando l’economia ha registrato un magro +0,2%, non permettono di azzardare nemmeno un +1,6%, che pure lascerebbe l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi Ue. Il deficit/pil scende al 2,3% ma è “più alto della iniziale previsione di 1,9 perché incorpora gli interventi a favore del sistema bancario“. Quanto al debito, secondo il ministro del Tesoro uscente Pier Carlo Padoan “diminuisce in maniera marcata di un punto percentuale nel 2018”. In realtà è visto al 130,8% del pil contro il 131,6% dello scorso anno. In termini assoluti, ovviamente, continua ad aumentare. Sono i contenuti della parte tendenziale del Documento di economia e finanza, vale a dire la parte che si limita a fotografare l’andamento dei conti pubblici “a bocce ferme”, approvata dal consiglio di ministri giovedì mattina. L’esecutivo Gentiloni ha anche deciso di prorogare ulteriormente i tempi di vendita di Alitalia e la restituzione del prestito ponte finito nel mirino dell’Antitrust europeo.
La parte programmatica resta al prossimo governo – Compilare la parte programmatica, quella che prevede gli effetti delle politiche economiche prossime venture, spetta al prossimo inquilino di Palazzo Chigi, e il governo uscente ha deciso di passare la palla senza attendere i risultati del mandato esplorativo a Roberto Fico. Di conseguenza le tabelle presentate da Padoan sono formulate a legislazione vigente e incorporano gli effetti degli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia. “Sono tenute dentro, nell’aspettativa che, come in passato, il prossimo governo presenti misure per rimuoverle”, ha chiarito Padoan. Perché quegli aggravi fiscali zavorrano la crescita del 2019 e 2020 – prevista rispettivamente a +1,4 e +1,3% – visto che deprimerebbero i consumi con conseguente effetto recessivo e un impatto negativo sui rapporti deficit/pil e debito/pil. Nel 2019 il debito dovrebbe attestarsi al 128% del pil, nel 2020 a 124,7%.
Il peso delle clausole di salvaguardia: per disinnescarle servono 12,5 miliardi – Per disinnescarle, il prossimo governo deve trovare 12,5 miliardi. In assenza di interventi, l’aliquota Iva ridotta del 10% salirà nel 2019 all’11,5% e nel 2020 al 13%, mentre quella ordinaria del 22% passerà al 24,2% dal 2019, al 24,9% dal 2020 e al 25% dal 2021. Le forze politiche premiate dalle urne sono concordi sul fatto che le clausole vanno disinnescate. Intenzione che andrà dettagliata nella parte programmatica del Def, spiegando come si intende trovare i 12,5 miliardi necessari per evitare gli aumenti nel solo 2019 mentre per il 2020 ne occorrono 19,2. Il Documento non è una legge e non può introdurre nuove tasse né disporre tagli, ma deve comunque dare indicazioni sulle coperture. Da dettagliare nella prossima manovra.
Il passaggio nelle commissioni speciali e le risoluzioni dei partiti – Entro l’inizio della prossima settimana, salvo qualche giorno di proroga concessa da Bruxelles causa elezioni, il documento dovrà essere inviato alla Commissione europea. Prima però è previsto un passaggio nelle commissioni speciali di Camera e Senato, dove i partiti dovrebbero presentare le loro risoluzioni con indicazioni sulle clausole e sugli indirizzi che intendono dare alla politica economica.