Una porzione del cantiere del gasdotto Tap finisce sotto chiave: nelle autorizzazioni rilasciate dal ministero dello Sviluppo Economico sarebbero stati ignorati i vincoli paesaggistici esistenti a Melendugno, nel Salento. La Procura di Lecce ha disposto il sequestro probatorio di 60 ettari in contrada Le Paesane anche sulla base di un altro motivo: non sarebbe stato rispetto il periodo, compreso tra dicembre e febbraio, in cui poter procedere all’espianto degli ulivi. Al momento dell’apposizione dei sigilli, alle 23 di mercoledì sera, però, erano già stati estirpati e collocati in vaso, ai fini del reimpianto, tutti e 448 gli alberi da spostare per far spazio alla pista del cantiere. Clara Risso, legale rappresentante di Tap, risulta indagata per i reati di opere eseguite in assenza di autorizzazione, distruzione e deturpamento di bellezze naturali, distruzione o deterioramento di piantate di alberi e abusivismo in aree sottoposte a vincolo.
Il provvedimento, notificato alla multinazionale dai carabinieri del Noe di Lecce e della Forestale, anticipa di poche ore l’assemblea degli azionisti della banca Intesa Sanpaolo, a Torino, dove l’organizzazione Re:Common ed esponenti del Movimento No Tap sono andati a chiedere al consiglio d’amministrazione di non sostenere finanziariamente il gasdotto.
L’atto di sequestro, che non interessa contrada San Basilio dove i lavori proseguono, porta la firma del procuratore capo Leonardo Leone De Castris e del pm Valeria Farina Valaori. Quest’ultima è anche la titolare del fascicolo relativo all’inchiesta riaperta a gennaio e nell’ambito della quale, tre giorni fa, sono stati conferiti gli incarichi ai fini della superperizia che, in seno all’incidente probatorio, costituirà la prova del nove. Servirà a capire, infatti, se Tap e il segmento Snam, che per 55 chilometri unisce il primo alla rete nazionale del gas, vadano considerati come unica opera e, se sì, se vada applicata la normativa Seveso sul rischio di incidenti rilevanti. Un passaggio che potrebbe rimettere in discussione tutto.
I sigilli sono stati disposti in seguito all’esposto presentato martedì da tre parlamentari del M5s, Diego De Lorenzis, Daniela Donno e Leonardo Donno, dopo la visita al cantiere effettuata lunedì. In quello stesso giorno, il pm ha delegato la Forestale ad un sopralluogo e all’acquisizione di documenti. Il sindaco del Comune di Melendugno, Marco Potì, nel frattempo ha diffidato Tap e Ministero a non procedere con i lavori, che però ci sono stati. Lapidario il commento della multinazionale: “Nella convinzione di aver operato nel pieno rispetto delle disposizioni legislative in materia e delle autorizzazioni ricevute, si ribadisce l’assoluta fiducia nella magistratura e fornirà tempestivamente alla Procura tutti i chiarimenti necessari volti ad ottenere il dissequestro dell’area”.
Nel pomeriggio, intanto, l’area sotto chiave è passata da sessanta a quattro ettari, coincidente con quella recintata dalla multinazionale, mentre è stata restituita la restante parte al proprietario privato in quanto zona non interessata dai lavori. Il nodo riguarda il vincolo paesaggistico, che non c’è secondo Liliana Panei, la dirigente del ministero dello Sviluppo Economico che il 14 marzo scorso ha accolto la richiesta presentata dalla società di variante in corso d’opera, per eseguire i nuovi espianti e reimpianti dal 24 aprile al 15 luglio. “Dalla Carta dei Vincoli – è testualmente riportato nel decreto a sua firma – risulta che la nuova recinzione (che delimita le zone in cui avviare il nuovo cantiere, nda) non interessa aree soggette a vincoli paesaggistici o ambientali”. “Affermazione del tutto falsa – ha scritto il sindaco nella diffida – in quanto su tutte le carte riportanti i vincoli tale area ricade in zona a vincolo paesaggistico”. Che è presente già dagli inizi degli anni Settanta, recepita da ultimo nel Piano paesaggistico territoriale regionale.
Nella loro informativa di mercoledì, lo ribadiscono anche i carabinieri della Forestale: quell’area agricola è dichiarata di “notevole interesse pubblico” e “dai progetti Tap disponibili sul sito si rileva che la stessa società riconosce l’esistenza” di ciò. In quanto tale, quell’area “sarebbe soggetta a vincolo assoluto di indisponibilità”, scrivono i magistrati. Inoltre, “il sub procedimento di autorizzazione paesaggistica incardinato dagli enti delegati dal Comune di Melendugno al rilascio del nulla osta paesaggistico non è mai stato concluso”.
C’è, poi, il secondo aspetto, quello temporale: la prescrizione A29, che regola il trattamento degli ulivi da spostare, stabilisce che “devono essere zollati, cioè estratti da suolo con una congrua quantità di terreno e non a radice nuda, in epoca compresa tra dicembre e febbraio”. Lo scorso anno quei lavori iniziarono alla fine di marzo. Tante le proteste, durissime, e le diffide senza esito.
Quest’anno, il copione si è ripetuto a fine aprile. Come è potuto accadere? Anche questo è al vaglio della magistratura: le prescrizioni contenute nel decreto del ministero dell’Ambiente, che nel settembre 2014 ha rilasciato la Valutazione di impatto ambientale, sono state superate da un decreto direttoriale dell’8 febbraio scorso. E che questo fosse possibile è uno dei punti interrogativi posti alla Procura, essendo quell’atto di grado inferiore rispetto al primo.