Il capo dell'ufficio inquirente di Roma interviene con una lunga lettera a Repubblica sulla riforma degli ascolti telefonici. "Il legislatore - scrive - si è mosso in una logica non sistematica, ma dall’esclusivo punto di vista della tutela della riservatezza. Così facendo ha messo a serio rischio il diritto di difesa e ha creato una ennesima serie di difficoltà operative e di adempimenti che rallenteranno ancora i tempi dei processi e assorbiranno risorse a danno delle indagini"
“Fuori dai processi temo continueremo a leggere molti contenuti di intercettazioni, virgolettati o meno. Nei processi dovremo trovare soluzioni anche fantasiose ai tanti problemi lasciati irrisolti dalla legge. Ma non posso fare a meno di chiedermi quanti processi salteranno perché le soluzioni che oggi sembrano logiche o almeno plausibili non saranno ritenute tali nei passaggi successivi. O addirittura giudicate incostituzionali“. Lo scrive Giuseppe Pignatone, in procuratore capo di Roma in una lunga lettera al quotidiano La Repubblica con cui esprime il suo parere negativo sulla riforma delle intercettazioni in vigore tra tre mesi. Secondo Pignatone, infatti, la nuova legge non tutela la privacy. Nell’aprile del 2015 il procuratore capo della Capitale era comparso – insieme ad Edmondo Bruti Liberati, allora capo dell’ufficio inquirente di Milano -davanti alla Commissione Giustizia della Camera proponendo – tra le altre cose – un divieto assoluto di far finire nelle pagine di cronaca giudiziaria tutto il materiale che solitamente un giudice per le indagini preliminari ha a disposizione: richiesta del pubblico ministero, informative della polizia giudiziaria.
“Il legislatore – scrive, però, oggi il capo dell’ufficio inquirente capitolino – si è mosso in una logica non sistematica, ma dall’esclusivo punto di vista della tutela della riservatezza. Così facendo ha messo a serio rischio il diritto di difesa e, per quanto riguarda l’attività dei magistrati, pur senza intaccare i presupposti delle intercettazioni, ha creato una ennesima serie di difficoltà operative e di adempimenti che rallenteranno ancora i tempi dei processi e assorbiranno risorse a danno delle indagini”. Nel dettaglio Pignatone giudica non “condivisibile il modo che la legge ha scelto per conseguire il risultato voluto (cioè la tutela della riservatezza) e molto incerto è il fatto stesso che questo risultato possa essere effettivamente conseguito”.
Il nodo fondamentale è rappresentato dal potere concesso alla polizia giudiziaria di non annotare nei brogliacci riassuntivi le conversazioni che non hanno rilevanza. “Non ci saranno più tra gli atti depositati le notizie non rilevanti, il mero gossip. Questa è la speranza che anima la legge e tutti noi. Però dobbiamo essere realisti”, scrive Pignatone. “All’inizio di un’indagine, polizia giudiziaria e pm hanno un’idea non precisa di ciò che è rilevante, questa idea si definirà nel tempo; intanto molte notizie – che alla fine potranno risultare irrilevanti – saranno inserite nelle informative, nelle richieste e nei decreti di intercettazione e saranno quindi poi conosciute con il deposito degli atti”. Questo perché, continua il magistrato “il concetto processuale di rilevanza è diverso da quello comune: qualche volta in minus, perché quello che rileva ai fini di un giudizio politico o morale può non rilevare per le indagini, altre volte invece in senso più ampio perché in indagini di mafia, di terrorismo, di grande corruzione o di gravi reati economici sono rilevanti, anzi rilevantissimi, i rapporti, le relazioni, i contatti e così via”.
Altro passaggio importante, per Pignatone, è la differenza che la riforma fa tra i virgolettati integrali e le sintesi delle conversazioni. “Il nuovo art. 267 cpp – ricorda il procuratore – dispone che la pg non può trascrivere le conversazioni non rilevanti e aggiunge che essa informa preventivamente il pm con annotazioni sui contenuti delle conversazioni’. Il pm, se le ritiene rilevanti, ordina la trascrizione con decreto motivato (art. 268 c. 2 ter). A parte l’assurdità che il pm deve motivare per fare quello che la pg fa senza alcuna motivazione, si pone il problema se queste annotazioni si devono riferire alle sole situazioni dubbie oppure a tutte. Se la soluzione è la prima, tutto resterebbe in sostanza come oggi. Se la soluzione fosse la seconda si giungerebbe a risultati catastrofici per la pg che dovrebbe sprecare tempo e risorse per annotare conversazioni irrilevanti; e a questo proposito è opportuno precisare che oggi non viene trascritto, perché non rilevante, più del 99 percento delle intercettazioni”.
Sul calo dei virgolettati, osserva quindi Pignatone, “la pg non ha l’obbligo di limitarsi ai brani essenziali”. Per questo “non c’è dubbio che nelle carte del procedimento ci saranno non poche citazioni virgolettate a rischio pubblicazione. Del resto parafrasi e sintesi possono essere assai pericolose e tali da ingannare involontariamente chi poi le leggerà, con esiti sul processo più nefasti del danno che può fare un virgolettato”.
Per il procuratore di Roma, quindi, possono essere “ancora più catastrofiche le conseguenze per la riservatezza degli indagati e dei terzi. Migliaia di conversazioni irrilevanti e, ancor peggio, quelle relative a dati sensibili che oggi non vengono trascritte e di cui non vi è traccia in atti, non solo diventerebbero in qualche modo conoscibili, ma verrebbero addirittura messe in evidenza perché oggetto delle annotazioni preventive. Non dimentichiamo un fatto importante: il procedimento non ha come protagonisti solo l’indagato e il binomio polizia giudiziaria- pubblico ministero; esso ha altri attori: le parti offese ma anche una pluralità di indagati i cui interessi (non solo processuali ma anche politici, economici, strettamente personali) possono non coincidere o addirittura essere contrapposti. Con tutte le conseguenze del caso”.