Fa ancora discutere un’operazione antimafia del 2011 con diverse condanne diventate definitive da tempo, la maxi-inchiesta “Minotauro” che rivelò le infiltrazioni della ‘ndrangheta a Torino, i suoi contatti con l’imprenditoria e la politica. Fa discutere perché alcune settimane fa, il 22 febbraio, nel corso della sua requisitoria il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo ha parlato di una presunta “ala deviata del Pd”, frase che – emersa soltanto martedì – ha suscitato malumore nel partito, sebbene i vertici locali abbiano reagito timidamente. Per questo oggi l’ex deputato dem Mimmo Lucà, che si sente tirato di nuovo in ballo, ha deciso di abbandonare il partito che non lo ha difeso abbastanza: “Lascio il Pd con effetto immediato – ha detto stamattina -, una telefonata non può essere scambiata per complicità e non può diventare la leva con cui far precipitare la mia reputazione nella palude della cattiva politica”. Alla sua conferenza stampa c’erano pochi esponenti dem e mancavano i vertici.
Lucà, che non è mai stato indagato né processato, si è sentito tirato in ballo perché è uno di quelli che aveva avuto contatti con l’imprenditore edile Salvatore De Masi, detto “Giorgio”, condannato venerdì scorso dalla Corte d’appello a nove anni per associazione mafiosa e ritenuto il capo della locale di ‘ndrangheta di Rivoli, nell’hinterland di Torino. A lui, prima dell’arresto avvenuto l’8 giugno 2011, si erano rivolti molti politici e i contatti erano emersi dagli atti dell’inchiesta “Minotauro”. Da questi emergeva anche una telefonata fatta da Lucà a De Masi per chiedere un sostegno a Piero Fassino alle primarie del Pd in vista delle elezioni amministrative del 2011. “Volevo chiederti se magari – perché la partita è molto dura con Gariglio (Davide, lo sfidante, ndr) – se magari hai un qualche amico a Torino a cui passare la voce perché possono votare tutti i residenti a Torino”. E il giorno delle primarie, il 27 febbraio, De Masi gli telefona: “Io comunque fino alle dodici ed un quarto… insomma quindi…ho fatto il mio dovere va!”. Dopo la pubblicazione delle intercettazioni l’allora deputato Lucà si era subito difeso, ma non si è tolto il peso di dosso.
Così oggi, è tornato di nuovo sull’argomento: “Chi conosce la mia storia, la mia condotta di uomo pubblico e la mia attività parlamentare, i valori a cui ho sempre ispirato il mio impegno politico e il servizio alle istituzioni – ha affermato – sa bene che sono una persone onesta e perbene, che posso aver commesso una leggerezza o una imprudenza con quella maledetta telefonata, ma la collusione con la criminalità organizzata è quanto più lontano da me e da tutto il percorso della mia vita”.
Lucà non era l’unico in contatto col presunto boss. Anche l’attuale presidente del Consiglio regionale Nino Boeti (Pd), ex sindaco di Rivoli, aveva incontrato e contattato De Masi. Su quest’ultimo l’ex procuratore capo Gian Carlo Caselli, durante la sua requisitoria spese parole molto dure definendolo “un ‘ndranghetista di consistente spessore criminale, con parentele pesanti” che “ama intrattenere relazioni cordiali con personaggi di spicco del mondo politico-amministrativo”. Questi “personaggi”, aggiunse Caselli, erano spesso “politici e amministratori scafatissimi, calabresi loro stessi, che di Rivoli e dei suoi abitanti, Demasi compresi, dovrebbero sapere di tutto e di più. Che proprio di lui e dei suoi parenti notoriamente mafiosi non sapessero nulla non è francamente irreale”. Boeti ha affermato di avere avuto un semplice rapporto di conoscenza e non poter sapere elementi che gli investigatori hanno scoperto dopo anni di inchieste. Poi, per agire in contropiede, propose una commissione consiliare antimafia presso il consiglio regionale che ora presiede.
Il pg Saluzzo ribadisce non aver parlato di singoli politici in contatto con De Masi: “Il suo nome e la sua figura erano stati più volte oggetto di articoli di stampa (in particolare, sul quotidiano “La Stampa”) che riprendevano quanto emerso nel dibattimento del processo, tenutosi a Reggio Calabria (il processo “Stupor Mundi”), sulla base di atti trasmessi proprio dalla Procura della Repubblica di Torino. E De Masi veniva indicato come personaggio criminale di altissimo livello”.
In una nota il Pd di Torino invita al ripensamento: “Apprendiamo con rammarico e con assoluta sorpresa – afferma una nota della segreteria del Pd torinese – che Mimmo Lucà ha deciso di lasciare il Partito Democratico. È sempre un dispiacere quando qualcuno con cui si sono condivisi momenti di intensa militanza e che ha dimostrato di credere nei tuoi stessi valori decide di abbandonare, e speriamo possa ripensarci”. “Comprendiamo il suo stato d’animo – aggiunge la segreteria metropolitana – e l’insieme di ragioni che lo hanno portato a maturare questa decisione, è uno stile che fa onore a Lucà come politico e come persona, ma siamo convinti che il Pd sappia essere comunità nei momenti difficili e trovare altrettante valide ragioni per andare avanti insieme“.