Tutti accusati di ostacolo agli organismi di vigilanza e di indebite influenze sulla formazione dell'assemblea del 2013 che decretò la maggioranza della lista ufficiale, contrapposta a quella cosiddetta Resti, dal cognome del promotore, e a quella capeggiata dall'ex parlamentare Giorgio Jannone che con i suoi esposti ha dato il via all'inchiesta
Il gup di Bergamo Ilaria Senesi ha disposto il rinvio a giudizio per il banchiere Giovanni Bazoli, presidente emerito di Banca Intesa, l’amministratore delegato di Ubi Victor Massiah e per gli altri 29 imputati (compresa la banca come persona giuridica) per la vicenda Ubi. Il pm di Bergamo Fabio Pelosi aveva ribadito nell’ultima udienza la richiesta di rinvio a giudizio per i 31 imputati, compresa la banca come persona giuridica. Tutti accusati di ostacolo agli organismi di vigilanza e di indebite influenze sulla formazione dell’assemblea del 2013 che decretò la maggioranza della lista ufficiale, contrapposta a quella cosiddetta Resti, dal cognome del promotore, e a quella capeggiata dall’ex parlamentare Giorgio Jannone che con i suoi esposti ha dato il via all’inchiesta. Bazoli, avvocato bresciano, classe 1932, è quello che si si puàò definire un banchiere di lungo corso con una presenza di oltre 40 anni al centro del sistema finanziario italiano, di cui 33 nelle vesti di presidente di quello che una volta fu il Nuovo Banco Ambrosiano. Di Banca Intesa è stato tra i padri fondatori nel gennaio 2007 con la fusione tra Banca Intesa e il Sanpaolo Imi. E anche della nascita Ubi, dalla fusione tra BPU Banca e Banca Lombarda 1 aprile 2007, è stato “ideatore e protagonista”. A 85 anni quindi finisce a giudizio il professore che fu chiamato da Beniamino Andreatta a salvare il Banco Ambrosiano, tra i protagonisti assoluti degli ultimi cinquant’anni della finanza cattolica italiana.
Per l’accusa un patto occulto per indirizzare le scelte della banca
Secondo il rappresentante dell’accusa, che aveva citato alcune tra le numerose intercettazioni agli atti, per quanto riguarda il primo capo d’imputazione vi fu, da parte dell’istituto, “addirittura un’eccessiva mole di informazioni” agli organismi preposti, Bankitaliaia e Consob (quest’ultima parte civile mentre la prima non ha ancora ritenuto di chiedere di costituirsi), mentre sono state escluse dal gup tutte le altre parti che hanno chiesto di costituirsi. Peccato, però, che, a detta del pm, la documentazione “non rispettava la prassi reale e ometteva” di raccontare quel presunto patto occulto per indirizzare le scelte della banca stipulato tra Bazoli, in qualità di leader dell’associazione che riunisce i soci storici bresciani (la Ablp), ed Emilio Zanetti, alla guida dell’associazione fra i soci storici bergamaschi
(Amici di Ubi Banca). Vi era poi la questione della raccolta delle deleghe in vista dell’assemblea del 2013. In questo caso, per il pm vi sarebbe stata una “soggezione” da parte dei soci nei confronti dei vertici di Ubi e sarebbero entrati in azione anche dei “volenterosi esecutori” impegnati a rastrellare i voti per far vincere la cordata di Bazoli e Zanetti.
La difesa di Bazoli: “Agito sempre per il bene della banca”
Nell’udienza del 9 marzo scorso Bazoli aveva difeso a spada tratta il suo operato nell’operazione di fusione da cui nacque Ubi, ma anche tutta la sua vita da banchiere rivendicando di essere stato, nella creazione di Ubi, “ideatore e protagonista” e che questa operazione consentì di mantenere italiana una banca che ora è tra i gruppi più solidi dell’intero sistema bancario. Ha voluto essere in aula, davanti al gup Ilaria Sanesi, per lanciare una sfida: “Sfido chiunque a dimostrare che il mio fine non è stato esclusivamente il bene della Banca“. E ancora: “Nessuno potrà mai dimostrare l’indimostrabile: che io abbia agito per fini personali”. Il banchiere ha ricordato come Santander avesse ‘puntato’ Banca lombarda e piemontese ipotizzando un’Opa amichevole e, memore di quante banche italiane fossero state ‘fagocitate’ da gruppi stranieri, si prodigò subito per la fusione di Blp e Bpu (Banche popolari unite) in Ubi. Operazione non facile per via delle due anime, quella bresciana e quella bergamasca. Da qui i colloqui ritenuti indizi di un ‘patto occulto’ dagli investigatoti che per il banchiere erano invece il tentativo di smussare gli spigoli di due diverse, orgogliose tradizioni. L’operazione di fusione, così come le norme che regolavano la governance furono rese note e approvate dagli organismi di vigilanza. Gli avvocati, ritenendo più che esaustive le dichiarazioni di Bazoli, avevano rinunciato alla discussione. Mentre tutte le altre difese avevano chiesto il proscioglimento.
Oggi Stefano Lojacono, uno dei legali, al termine dell’udienza, ha spiegato che il giudice, nel provvedimento con cui dispone il giudizio, premette che, secondo la Cassazione, gli è “precluso” il giudizio sul merito “della pretesa accusatoria o valutazioni che si sostanzino nell’interpretazione di emergenze delle indagini” connotate “da portata o significato aperti o alternativi”. “E la tesi, giusta e alternativa – ha affermato Lojacono – è che il professor Bazoli è innocente“.
La decisione della corte d’Appello di Brescia sulle sanzioni Consob
Forse a confortare le difese era stata la decisione della corte di Appello di Brescia, che il 19 giugno 2017, aveva annullato il provvedimento con cui nel settembre del 2015 la Consob aveva irrogato una serie di sanzioni per complessivi 895mila euro, nei confronti di diversi consiglieri ed ex consiglieri di sorveglianza di Ubi Banca, tra cui Bazoli e l’attuale presidente Andrea Moltrasio perché mputava ai componenti dell’organo di controllo di aver omesso, nelle relazioni sul governo societario relative agli anni tra il 2009 e il 2013, le informazioni relative ai principi di pariteticità, alternatività e alternanza fra la derivazione Bpu e quella di Banca Lombarda (i due istituti dalla cui fusione è nata Ubi Banca) che disciplinavano la composizione del comitato nomine e degli organi sociali di Ubi. Secondo i giudici bresciani la versione resa nota al mercato del regolamento del comitato nomine nel 2007 “era adeguata per far comprendere le modalità di funzionamento” dell’organo, per cui non può essere imputato ai componenti del consiglio di sorveglianza in carica al tempo dei fatti alcuna “omessa vigilanza” sulle relazioni predisposte dal consiglio di gestione. Le presunte irregolarità sanzionate dalla Consob, e ritenute insussistenti dalla corte di Appello, sono parte degli elementi d’accusa della Procura di Bergamo.
Ubi: “Rammarico ma dibattimento dimostrerà infondatezza accuse”
In una nota l’istituto “prende atto con rammarico della decisione” del gup “ma nel contempo è certa e ribadisce che il dibattimento, entrando nel merito, dimostrerà l’infondatezza delle accuse rivolte all’ente e ai propri esponenti, ritenendo che non vi sia stato alcun ostacolo alla Vigilanza, alcun patto occulto, alcuna omissione informativa, alcuna influenza nel determinare la maggioranza assembleare. Al contrario troverà conferma il costante e scrupoloso rispetto di leggi e regolamenti, l’adozione di regole rigorose di governance e la trasparenza di condotta da parte della Banca stessa. Si rammenta – prosegue il comunicato – ancora che l’assenza di un qualsivoglia occultamento dell’assetto di governance di Ubi Banca è già stato confermato dalla sentenza del 17 maggio 2017 della corte di Appello di Brescia, che ha annullato le sanzioni amministrative inflitte da Consob, confermando l’insussistenza dei fatti contestati. Tutti i componenti dei Consigli e del management aziendale continueranno, come sempre, a svolgere le loro funzioni e a fornire ogni giorno il massimo sforzo di assistenza ai propri clienti, ai territori e alle istituzioni, consapevoli del ruolo chiave che l’Istituto svolge nel sistema Paese“.