È morto Pietro Marzotto, e l’unico fatto certo è che i medaglioni latte e miele, la liturgia dei ricordi spesso omissivi, la “zucchificazione” non richiesta non sarebbero piaciuti, né tantomeno rendono onore a una persona della complessità del Conte. Pietro Marzotto era un grande imprenditore, questo è fuori di discussione, e la sua scomparsa quindi è in assoluto una gravissima perdita per il Paese.
Meglio di chiunque Ferruccio De Bortoli su Facebook ha sintetizzato la personalità del più giovane tra i figli di Gaetano:
Ma deve essere altrettanto chiaro che ben pochi – a principiare proprio da molti suoi figli e nipoti – nel mondo degli imprenditori e dei capitalisti italiani (tra i quali lui era “Il Principe“, per sostanze e consuetudini) ne seguivano l’esempio e i consigli, perché Pietro Marzotto era “un panda”, un’anfora preziosa in un gruppo di vasi di coccio, all’interno del quale si preferiva considerarlo non un modello da seguire, piuttosto un bell’oggetto da tirare fuori ogni tanto, per metterlo in mostra e non molto di più.
Davanti alla morte non è il caso di sollevare polemiche, ma è chiaro che tra lo stile e la cultura di Pietro Marzotto (senza dimenticare il fratello Giannino, recentemente scomparso) e quello dell’imprenditoria italiana, c’è una distanza siderale, di pensiero e di azione, che non a caso l’aveva portato a uscire dalle aziende che ancora portano il suo nome e a ritirarsi in una vecchia proprietà, che era stato costretto a ricomprare. Pietro Marzotto era veramente un figlio di Gaetano, con i pregi, i difetti e la disgrazia di vivere in altri tempi.
Cresciuto all’ombra – e che ombra! – del padre Gaetano, Pietro era portato a pensare all’azienda di famiglia come a un luogo di libertà, ma anche di grande responsabilità. La sostanza dei Marzotto poteva servire certamente ad acquistare ville, collezioni importanti di quadri e arazzi, ma non faceva passare in secondo piano l’amore e il rispetto verso i propri dipendenti, che per Pietro non erano mai semplici lavoratori. Dal padre aveva appreso che con la giusta passione si potevano bonificare zone improduttive e costruire imprese agricole da additare a modello a tutto il Paese; che si poteva realizzare la prima e più importante catena alberghiera italiana e che con i profitti di un grande gruppo si poteva promuovere e finanziare la cultura, le arti e le lettere. Insomma, aveva visto la grandezza dell’imprenditore, aveva toccato con mano che nulla più del denaro può dare quel senso di ebbrezza e di onnipotenza, che però non ha molto da spartire con l’idea profonda di libertà dell’imprenditore. E proprio questa sua differente idea, in virtù dell’educazione di famiglia e dell’esempio paterno, mai sarebbe stata in contrasto con l’interesse della collettività all’interno della quale viveva.
Certo anche Pietro commise i suoi errori e credo che nessuno come lui stesso ne abbia sentito il peso e il dolore, come a proposito della vicenda degli operai della Marlane di Praia a Mare. Ma soprattutto patì la disgregazione della famiglia, che verosimilmente da più giovane tra i figli non riuscì a impedire. Ciononostante, sarà proprio solo anche grazie a Pietro che il nome dei Marzotto, primo tra i primi, resterà legato in maniera imperitura alla storia imprenditoriale italiana e per sempre ne sintetizzerà uno degli esempi più belli e più originali di grandi capacità, mai prive di profonda ispirazione etica.