E’ vero che il baricentro del mondo si sta spostando a oriente, non solo quello economico ma soprattutto quello politico. I politici nostrani farebbero bene a prestare attenzione a come si fa politica ad alto livello, forse imparerebbero qualcosa. L’ultima magistrale lezione di diplomazia internazionale arriva dalla tristemente celebre zona demilitarizzata, la cicatrice della guerra fredda che corre lungo il 38 esimo parallelo e che divide la penisola coreana in due.
Il dittatore Kim Jong-un, considerato pazzo e sanguinario fino a quattro mesi fa, ha partecipato a un summit storico nella Corea del sud, stato ancora ‘nemico’ e dove né suo padre né suo nonno hanno mai messo piede. Lo ha fatto con tutti gli onori riservati a un grande capo di Stato. Il presidente coreano Moon, che ha speso gli ultimi vent’anni per ottenere questo incontro, è il stato il suo interlocutore. Come Kim ha usato tutte le strategie politiche, inclusa la diplomazia delle olimpiadi, per avvicinarsi alla comune meta: l’accordo di pace tra le due nazioni.
La pace tra questi due Paesi che per tre mila anni sono state un’unica espressione geografica e linguistica, una singola cultura, una nazione sovrana con lo stesso popolo aprirà le porte alla collaborazione economica e commerciale. Il modello sarà quello del vecchio mercato comune: sfruttare le interdipendenze economiche e le risorse di entrambi per modernizzare il nord e produrre benessere in tutta la penisola. L’unione ha le potenzialità di dar vita a un’economia molto più forte di quella giapponese.
Nord e sud, dunque, hanno interessi comuni che perseguono congiuntamente. Gli ostacoli non sono pochi. In primis, anche se entrambi hanno firmato un armistizio di pace, i due Paesi sono ancora in guerra. La Repubblica popolare della Corea del nord è uno stato cuscinetto per la Cina, la Corea del sud è una importantissima base militare americana nel Pacifico. Insomma, per arrivare a stringersi la mano sul 38° parallelo e piantare l’albero della pace i due leader coreani hanno dovuto convincere Washington e Pechino a farglielo fare.
Se mettiamo a confronto questa lezione di diplomazia internazionale con i fiaschi post-elettorali europei – l’ultima nazione a dar prova di incapacità nella formazione del governo sulla base dei risultati elettorali è la nostra – e le animosità all’interno dell’Unione Europea, ad esempio Brexit, ci rendiamo conto perché l’asse del mondo si sta spostando a oriente. A completare il triste quadro della decadenza della politica in Europa ci sono i rapporti di sudditanza con Washington. Che dire di Macron che attraversa l’oceano per presentare a Trump la volontà ferrea europea di andare avanti con l’accordo con l’Iran per poi cambiare idea a venti quattro ore dall’atterraggio? Notevole la differenza con il presidente Moon (la cui moglie non veste Chanel come le first lady francese e americana), Moon è un politico di sostanza, che ha le idee ben chiare sul futuro della propria nazione, non è un populista.
Certo c’è sempre Angela Merkel che ha detto chiaramente a Trump – che continuava a bombardare il mondo con twitter trionfalistici sul summit coreano presentato come una sua creazione – di non fidarsi di Kim Jong-un. La Merkel sì, è una scaltra politica, ma si trova a dover giocare in una squadra di schiappe e non ha un interlocutore con cui lavorare seriamente. Descritto lo scenario ecco alcune previsioni: Trump e Kim si incontreranno, possibilmente a giugno. L’accordo di pace tra le due coree verrà avvallato dalla Casa Bianca, a quel punto si inizierà a lavorare con lena alla cerimonia per la firma del trattato, che avverrà prima di novembre 2018, e cioè delle elezioni di mid-term americane.
Trump si attribuirà tutta la gloria e sia Kim che Moon glielo lasceranno fare. Kim ribadirà l’impegno a congelare le testate nucleari e i dettagli della denuclearizzazione verranno rimandati a un altro summit, che avverrà nel 2019. Intanto Nord e Sud Corea inizieranno in sordina a cooperare economicamente, a dispetto delle sanzioni internazionali. Gli investitori del sud avranno quindi accesso prioritario al processo di modernizzazione del nord.
In Europa il battibecco sulla Brexit non scomparirà. Le tensioni tra il populismo di destra dell’est europeo e Bruxelles aumenteranno, rischiando di far implodere tutta la struttura, in Italia con molta probabilità si rivotera’ ma i risultati non saranno migliori. Insomma gli scenari non sono affatto positivi. Ultimo dettaglio il taglio di capelli alla Kim continuerà a essere sempre più di monda, quello alla Di Maio invece verrà considerato passé.