Classe 1980, a 12 anni è stato folgorato da Bossi e a 16 si è iscritto al partito. Quando divenne commissario provinciale a Trieste, nel 2003, il Carroccio era all'1,2 per cento. Alle ultime politiche è salito al 26 facendo nascere il Lombardo-Veneto-Friulano, versione post-bossiana della Padania secessionista. E' stato sempre con il leader di turno: "La forza della Lega è che tutti remano dalla stessa parte". Fisco, sicurezza, sanità: ecco che cosa ci si può attendere dalla sua amministrazione
Nell’universo leghista c’è un nuovo enfant prodige capace di battere i record di Luca Zaia, ora cinquantenne, che divenne ministro a quarant’anni, ma dovette aspettare di averne compiuti 42 per salire sullo scranno di governatore del Veneto. Massimiliano Fedriga a soli 37 anni è diventato il nuovo presidente della Regione Friuli Venezia-Giulia. Lanciato da Matteo Salvini come una freccia per dimostrare che il centrodestra è cosa sua, il segretario regionale del partito pigliatutto ha ripagato il segretario di tanta fiducia, con un’elezione trionfale. La percentuale di consensi è schiacciante e supera la metà dei votanti, che per la verità sono stati abbastanza scarsi, essendosi assestati sul 49 per cento. Con il 50 per cento abbondante, Fedriga ha lasciato al secondo posto Sergio Bolzonello del centrosinistra (poco meno del 30 per cento), vicepresidente uscente della giunta di Debora Serracchiani, segue al terzo posto il pentastellato Alessandro Fraleoni Morgera, fanalino di coda l’autonomista Sergio Cecotti.
Leghista precocissimo, Fedriga, che gira in Jaguar X-Type ed è laureato in Scienze della comunicazione, ha il volto della persona tranquilla, anche se le cronache parlamentari ricordano che è stato il primo capogruppo di partito a conoscere la sospensione di 15 giorni dai lavori dell’aula (punizione massima), per insubordinazione nei confronti di Laura Boldrini. Già nell’ottobre 2014 si era fatto riprendere dalla presidente della Camera per aver detto di Matteo Renzi: “Lei non è il presentatore di qualche talk show e nemmeno la spalla di Maria De Filippi…”. Ma nel settembre 2015 aveva sbroccato offendendo la presidentessa durante una discussione sullo ius soli. Era stato espulso, ma era rimasto in aula. “Mi sono arrabbiato perché non conosceva il regolamento e non sapeva applicarlo. Un sopruso contro la minoranza”. Poco tempo dopo, altri quattro giorni per aver detto pubblicamente (a proposito di esodati): “Renzi è un ladro di pensioni”.
Ma a parte queste citazioni da duro e puro, più attento alla pancia che alla testa del movimento, Fedriga è soprattutto un leghista ossequiente al potere di turno all’interno della Lega. Quando Bossi era Bossi, lui stava con Bossi. “Era il ’92 e fui stregato da lui che venne a Trieste e parlava di appartenenza alla terra e di valore dell’identità. Avevo dodici anni, in un tema avevo già scritto che il personaggio storico che avrei voluto non fosse mai esistito era Garibaldi”. Per iscriversi alla Lega, a 16 anni, ebbe bisogno del consenso firmato dei genitori. Quanto Maroni impugnò lo scopa per ripulire il partito dagli investimenti in diamanti di Belsito, anche lui abbracciò il nuovo corso. Quando Salvini ha cominciato a gestire con pugno di ferro la svolta populista, si è allineato subito. E adesso ha compiuto l’operazione che il segretario gli aveva assegnato a marzo, dopo aver rovesciato gli accordi con Forza Italia che aveva già indicato Renzo Tondo quale candidato del centrodestra. Sbancare la regione più orientale d’Italia, saldarsi con il Lombardo-Veneto e ammutolire gli alleati azzurri, così da permettere al suo segretario di lanciare l’assalto finale a Palazzo Chigi.
Spiegazione di una fedeltà così ben ripagata: “Ho sempre creduto nella disciplina. La forza della Lega è che tutti remano dalla stessa parte: che si condivida la linea o no. Essere nel giusto, ma andare da soli, non serve a niente. E io non sono mai stato uno che urla e sbraita”. Quando divenne commissario provinciale a Trieste, nel 2003, la Lega era all’1,2 per cento. Alle ultime politiche è arrivata al 26 per cento. Cosa farà adesso? In un’intervista pre-elettorale ha detto: “Per prima cosa, bisogna rivedere la disastrosa riforma sanitaria dalla Serracchiani. Poi riorganizzare gli enti locali: le quattro province sono state sostituite da 18 unioni di comuni. Risultato: il caos totale. Poi, visto che in Slovenia, a pochi chilometri da qui, la pressione fiscale è quasi la metà, abbassare le tasse per le imprese: ad esempio l’Irap”.
Ma c’è da attendersi qualcosa sui fronti più sensibili, da un neo presidente che degli extracomunitari ha detto: “E’ inaccettabile, buttiamo fondi Ue per pagare lezioni di sci ai profughi, mentre ci sono cittadini che non arrivano a fine mese e non sanno cosa mangiare”. E ancora: “Serracchiani vergognosa, compra l’accoglienza di falsi profughi, dando ai piccoli comuni 2.000 euro per ogni immigrato accolto. Invece in Friuli Venezia Giulia le strutture di accoglienza sono al collasso, i cittadini esasperati e la sicurezza ridotta allo zero”. E sulla mancanza di sicurezza in una regione che, vivendo ai confini, è più sensibile ai flussi migratori, Fedriga, nato a Verona, ma trapiantato a Trieste, ha calcato molto la mano.
I comizi di Salvini in Friuli nelle ultime settimane non si contano. A questo successo di larga misura il segretario leghista teneva moltissimo, per calare l’asso a Roma. E quando a fine marzo una decina di agricoltori con i trattori e uno striscione “Fedriga presidente” si erano recati a Udine dove lui stava incontrando i segretari locali arrabbiati per la scelta del forzista Tondo, non ci aveva pensato un attimo. Aveva rinunciato alla presidenza del Senato in cambio della candidatura del governatore del Friuli. E così ha fatto nascere il Lombardo-Veneto-Friulano, versione post-bossiana della Padania secessionista.