Emanuele Viola ha lasciato l’Italia nel 2001 e oggi insegna Informatica teorica alla Northeastern University di Boston. "Le università Usa sono dirette come delle aziende in competizione tra loro. In Italia ho ricevuto una preparazione migliore di quella degli studenti americani"
La differenza principale? “Che in America la laurea te la compri. In Italia te lo devi meritare”. Emanuele Viola ha lasciato l’Italia nel 2001, durante il suo dottorato alla Sapienza di Roma. “Ho rinunciato ad una borsa di studio per un PhD ad Harvard – ricorda –. Poi mi sono spostato a Princeton, alla Columbia e a Boston”. Oggi è professore di Informatica teorica alla Northeastern University di Boston. Tornare? “Sì, spero di rientrare, un giorno”.
Emanuele, classe 1977, è nato a Roma. A 14 anni ha programmato il videogioco Nathan Never, seguito poi da Black Viper. A 24 anni il primo viaggio verso gli Stati Uniti per un dottorato in informatica alla Harvard University, seguito da un postdoc all’Institute of Advanced Study a Princeton e uno presso la Columbia University. “Poi sono diventato professore alla Northeastern University a Boston, dove ho ricevuto la cattedra qualche anno fa”.
La giornata tipo può variare in base al lavoro accademico. “Personalmente, funziono meglio se passo molto tempo a casa in quasi completo isolamento – spiega Emanuele –. Se non devo insegnare, generalmente mi piazzo davanti a un foglio bianco cercando di risolvere qualche problema – continua –finché finalmente è l’ora della mia passeggiata nei boschi, così almeno in una cosa posso sentirmi vicino a Einstein e Darwin”, sorride. “Vado all’università qualche giorno a settimana per insegnare o per partecipare a vari meeting. Ma spesso mi collego via Skype”.
L’Italia gli manca tantissimo, ha sempre meno tempo per visitarla e la differenza con il mondo accademico statunitense è drastica: “Le università americane sono dirette come delle aziende in competizione tra loro, costantemente alla ricerca di più soldi, migliori professori e di migliori studenti. Qui, dopo che sei stato ammesso, è quasi come se avessi già la laurea in tasca. Non è esattamente così in Italia: dei 200 del mio corso – ricorda – io ero l’unico ad essersi laureato in cinque anni, cioè non andando fuori corso”.
Per Emanuele poi, il mondo accademico e della ricerca italiano non ha soltanto problemi di fondi. Anzi. “Cento anni fa, era tipico per uno studioso americano passare un periodo di formazione in Europa – continua Emanuele –. In poche generazioni, la situazione si è esattamente ribaltata”. In questo senso il problema dell’Italia è anche quello del resto dell’Europa e di altre parti del mondo. “L’America ha ammassato una tale quantità di menti brillanti da ogni parte del mondo che è molto difficile per un’altra nazione essere competitiva, indipendentemente dai finanziamenti. Anzi, quelli della comunità europea sono sostanziosi e competitivi. In questo momento “in America i fondi non sono molti – precisa – specialmente per la teoria”.
La situazione si ribalta per il dottorato. “Qui non ha una durata prestabilita: se non ti buttano fuori, esci quando hai pubblicazioni competitive, per cui ci possono volere anche sei o sette anni. In Italia, la durata prestabilita è tre anni, un tempo assolutamente insufficiente a produrre pubblicazioni competitive”. Questa differenza è anche dovuta al fatto che negli Usa lo stipendio dello studente viene dall’advisor, in Italia principalmente da una borsa statale.
Se parliamo di formazione, insomma, il discorso cambia. “Personalmente, considero l’istruzione che ho ricevuto praticamente gratis alla Sapienza molto più solida della tipica preparazione americana. Questo però si ribalta completamente per gli studi avanzati. Qui ci sono più possibilità per gli studenti meritevoli. In Italia nel mio campo c’è pochissima ricerca”.
I ricordi più belli? I rarissimi momenti in cui arriva la netta sensazione di risolvere un problema matematico. “A me è capitato una volta mentre rotolavo sulla mia palla e tre volte mentre passeggiavo per cimiteri”, sorride. L’obiettivo per Emanuele è tornare in Italia, anche se con la famiglia in America non è facile. “Da tempo pianifico un anno sabbatico in Italia. Spero di allacciare bene i contatti e che magari un giorno non troppo in là si traducano in un rientro”.
L’ambiente in un ateneo privato dove le tasse superano i 50mila dollari l’anno è completamente diverso da “quello che ricordo dei miei giorni da studente”. Eppure Emanuele ci tiene a dire una cosa: “No, non voglio dare l’impressione che i soldi facciano una gran differenza. Il fatto è che l’America è riuscita ad attrarre le migliori menti da ogni parte del mondo – conclude –. E nessun altro Paese ci è riuscito”.