“Era una gita difficile non da fare in una giornata dove alle 10 sarebbe iniziato il brutto tempo. Non era neanche da pensarci“. Tommaso Piccioli, l’architetto sopravvissuto all’escursione da Chamonix a Zermatt in cui sono morti almeno sei suoi compagni di escursione, cinque dei quali italiani, racconta di come è riuscito a vincere il freddo e l’angoscia: “Ogni tanto – ha detto al Tg3 – mi veniva la voglia di lasciarmi andare, ma dopo pensavo a mia moglie”.
Così ha resistito tutta la notte in mezzo alla bufera di neve che aveva sorpreso il gruppo guidato da Mario Castiglioni, un esperto escursionista con tre 8mila scalati. Il suo è il racconto di un concatenarsi di errori: “Abbiamo sbagliato strada”. È accaduto diverse volte, “quattro o cinque”, spiega. A quel punto, “ho portato avanti il gruppo io perché ero l’unico ad avere un gps funzionante fino a che siamo arrivati a un punto in cui non si poteva più procedere perché con quella visibilità non era possibile”.
Gli errori, racconta Piccioli, sono continuati anche quando è venuto il buio: “È arrivata la notte. Ci siamo fermati in una sella e anche quello è stato un errore perché non ci si ferma nelle selle quando c’è il vento. Devi fermarti in un punto riparato e scavare un buco”. A quel punto, l’architetto spiega di aver “cercato di non addormentarmi e ci sono riuscito, tutto lì, perché in quelle situazioni se ti addormenti sei finito: l’ipotermia ti prende e ti uccide”.
“Bisogna muoversi, muoversi, respirare e solo pensare di non morire – ha spiegato – Ogni tanto mi veniva la voglia di lasciarmi morire, dopo pensavo a mia moglie”. Nel gruppo, ha aggiunto, “eravamo tutti italiani tranne tre”. E spiega un dettaglio legato alla partenza della tappa sull’Haute Route Chamonix-Zermatt: “Non sapevamo che la gita fosse lunga e impegnativa perché non ce l’aveva detto. Io sapevo già che sarebbero morti quasi tutti”.