Cos’è uno scontro? Se escludiamo quello verbale, la prima immagine che viene in mente è lo scontro che può avvenire tra due automobili o tra ultras di due tifoserie avverse o ancora tra manifestanti e poliziotti in assetto antisommossa. Sembra però che Garzanti e Treccani nonché l’Accademia della Crusca dovranno introdurre un nuovo concetto di scontro, almeno a giudicare dalla nuova accezione che i mezzi di informazione stanno dando a questo termine.
Dal 30 marzo scorso al momento in cui scrivo, a Gaza sono stati uccisi almeno 44 palestinesi e ne sono stati feriti più di quattromila, con ferite particolarmente gravi e devastanti, stando a quanto dichiarato da Medici senza frontiere. La loro colpa? Manifestare ogni venerdì, pacificamente e disarmati, per chiedere il ritorno dei discendenti palestinesi cacciati dalle loro case nel 1948.
Come risposta vengono colpiti a morte da cecchini israeliani appostati al confine. La stessa sorte è toccata a due giornalisti palestinesi che filmavano la scena.
Se fosse stato un vero scontro ci sarebbe stato almeno un contatto fisico tra i due “gruppi” con morti e/o feriti in entrambi i lati, e i giornalisti non sarebbero stati colpiti. Più che uno scontro, mi sembra un macabro tiro al bersaglio, tanto cinico quanto quello delle risate e della soddisfazione che si può sentire provenire dagli stessi militari in un video pubblicato online del quotidiano israeliano Haaretz.
Perché allora i giornali hanno paura di chiamare le cose con il loro vero nome? Eppure le parole nella nostra lingua non mancano: massacro? Strage? Crimine di guerra? Perché i mezzi di informazione, e i partiti (anche quelli che si dicono “rivoluzionari”), sembrano così timorosi?
Si può condannare la Shoah e provare orrore per i crimini atroci e le persecuzioni subite dagli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale ed essere critici anche verso gli abusi che il governo israeliano come nei confronti dei palestinesi?