"Dalla sconfitta al referendum il Paese è bloccato”, ha detto l'ex segretario accusando implicitamente il premier di immobilismo. E adesso in tanti tra i dem sperano in una reazione dell'ex ministro degli Esteri nel corso della direzione di giovedì: da Martina (che punta a lanciare l'ultimo appello all'unità), fino a Zanda (il più vicino al Colle)
Maurizio Martina ha parlato per primo. Poi hanno preso posizione Dario Franceschini, Andrea Orlando, Francesco Boccia, Michele Emiliano e da Bruxelles persino David Sassoli. Quindi ad allungare la lista dei dirigenti irritati per l’atteggiamento di Matteo Renzi è arrivato Luigi Zanda, l’uomo considerato più vicino a Sergio Mattarella. Seduto davanti a Fabio Fazio, domenica, Renzi ha chiuso a ogni ipotesi di dialogo con il Movimento 5 stelle, “bruciando” di fatto la direzione del partito di giovedì 3 maggio e sconfessando il ruolo – guida di Martina. L’ex premier, però, non ha mai attaccato direttamente il reggente. L’unica voce fino a questo momento assente dalla ribellione interna al Pd renziano è invece quella dell’unico leader tirato in ballo dall’ex segretario: Paolo Gentiloni. Al suo successore Renzi ha riservato una stoccata quando ha ricordato – ancora una volta – la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. “Da quel giorno il Paese è bloccato”, ha detto il senatore di Firenze e Scandicci. Da allora il suo posto a Palazzo Chigi è stato occupato proprio da Gentiloni. Premier di un governo bollato in diretta televisiva come emblema dell’immobilismo nazionale, nonostante i dati economici del 2017 smentiscano questa ricostruzione.
È per questo motivo, per quel colpo gratuito sotto la cintura, che in tanti dentro al Pd adesso confidano in una reazione di Gentiloni nel corso della direzione di giovedì. Sperano, cioè, che l’attacco di Renzi provochi il premier convincendolo a scendere in campo per ricoprire in un ruolo più attivo all’interno del partito. Magari mettendosi alla guida della ribellione interna all’ex segretario, dimissionario ma più che mai leader della sua corrente. In vista della direzione di giovedì, infatti, i renziani sanno di potere contare sulla maggioranza schiacciante dei delegati: 128 membri della direzione su 209 sono infatti espressione dell’ex sindaco di Firenze. Gli altri – Franceschini, Martina e Orlando – possono contare al massimo su 62 voti. Una situazione definita, anche se all’orizzonte si avvertono tutta una serie di manovre che puntano a creare un unico blocco in grado di resistere e sovvertire la corrente dell’ex segretario. Una sorta di unione di forze antirenziane che punta su due leader: l’attuale segretario reggente, da una parte, e il presidente del consiglio, dall’altra.
“È impossibile guidare il partito in queste condizioni. Così un partito rischia solo l’estinzione”, è stata la reazione di Martina dopo l’intervista televisiva di Renzi. Il reggente tenterà l’ultimo appello all’unità in direzione, sperando di ricevere sostegno da Franceschini ma anche dai renziani più laici come Graziano Delrio ed Ettore Rosato. E poi ovviamente da Gentiloni. Il ministro dei Beni culturali ha già fatto sapere come la pensa con un tweet in cui definisce Renzi “Signornò che smonta quello che il suo partito stava cercando di costruire”. Con il ministro dell’Agricoltura sono poi Orlando e Boccia, uno dei primi a tirare in ballo Martina e Gentiloni come coppia di leader su cui fondare il rilancio del partito nell’era post Renzi. “L’ex segretario dice che si è dimesso da tutto. Ma mi pare che abbia fatto un’intervista di uno che pensa di non essersi dimesso da nulla. Invece abbiamo un ottimo presidente del Consiglio, che è Gentiloni, e un segretario reggente, Martina, che sta facendo bene. Aiutiamoli, anziché dirgli cosa devono fare“.
Più netta, come spesso capita negli ultimi tempi, la posizione di Zanda. “Oggi i partiti personali sono di moda ma in tutto il mondo funzionano fino a quando il leader vince. Quando si perde in un referendum, alle regionali, alle amministrative, alle politiche, si dimezzano i consensi, i partiti personali perdono. Quando ci si dimette bisogna abbandonare il campo“, dice al Corriere della Sera l’ex capogruppo del Pd al Senato. In direzione giovedì ci sarà resa dei conti, visto che – come detto – i renziani hanno la maggioranza schiacciante? “Le conte vere si fanno al congresso. Il Pd ha bisogno con urgenza di un congresso serio e ben preparato, che dia atto del profondo cambiamento dei nostri equilibri interni. Il risultato elettorale ci dice che tra i nostri iscritti ed elettori la maggioranza che ha vinto l’ultimo congresso è diventata minoranza“, dice Zanda, che poi lancia la sua stoccata all’ex segretario. “Vedo dai sondaggi che oggi Renzi è meno popolare di Martina e Gentiloni, per non citare Salvini e Di Maio. E questo vorrà pure dire qualcosa”. Ma Gentiloni il segretario del Pd lo vuole fare? “È Gentiloni che deve parlare di Gentiloni, non io”, dice quello che è considerato da sempre uno degli esponenti dem più vicini al Quirinale. Dove, come è noto, non vedono di buon occhio un ritorno anticipato alle urne.
Impossibile tornare alle urne a giugno come vorrebbe Luigi Di Maio – i tempi tecnici, infatti, non ci sono più – ma secondo il Corriere della Sera a Mattarella non piace neanche l’ipotesi settembre-ottobre per due motivi. Intanto perché il risultato elettorale sarebbe con ogni probabilità simile a quello attuale. E poi anche se i partiti riuscissero a mettere insieme una maggioranza, non ci sarebbero i tempi per fare la legge di Stabilità. Scatterebbe il combinato disposto di esercizio provvisorio di bilancio senza alcun governo. In questa chiave, la soluzione ideale per tutti potrebbe essere la permanenza dell’ex ministro degli Esteri a Palazzo Chigi. Magari alla guida di un esecutivo di minoranza, sostenuto dal centrodestra solo per varare la nuova legge elettorale.
Una proposta nata dallo stesso Renzi e appoggiata anche dal volto più istituzionale della Lega, e cioè quello di Giancarlo Giorgetti. “Se si deve modificare la legge elettorale, patti chiari, amicizia lunga, governo corto. Governo breve. L’unica ipotesi che prendiamo in considerazione è una rapida modifica della legge elettorale, che permetta a chi vinca, al prossimo giro, di poter governare in modo autosufficiente”, dice il capogruppo del Carroccio alla Camera. Un contatto tra Pd e Carroccio non negato anche da Matteo Salvini, che domenica sera ha provato a proporsi in prima persona per sbloccare la situazione rigettando l’idea di appoggio a un esecutivo con tutti dentro.
Potrebbero i renziani opporsi a un sequel del governo Gentiloni, varato solo per modificare la legge elettorale, dopo che a proporre un’ipotesi simili è stato proprio il loro capo corrente? No, non potrebbero. Sull’altro fronte, però, sperano che il premier s’impegni in prima persona all’interno del suo partito. Il diretto interessato, però, per il momento tace. Lo fa dal 26 aprile, quando il Corriere della Sera gli aveva attribuito la valutazione che un accordo con M5s fosse “implausibile“. A quel punto fonti di Palazzo Chigi avevano smentito quelle frasi sulle “scelte che attendono il Partito democratico”. Solo che il Partito democratico è in cerca di un leader che faccia quelle scelte. Uno preferibilmente diverso da Renzi.