A meno di 24 ore dalla direzione, scoppia una battaglia a bassa intensità tra le correnti. I fedelissimi dell'ex segretario varano un documento per raccogliere le firme sul no al M5s e prendono tre quarti di voti sia tra i deputati sia tra i senatori. L'ex premier dice ai suoi: "Spero ci sia unità. Non usino pretesti per rompere". Il ministro: "Il tema non è più un rapporto coi grillini, ma restituire autorevolezza al partito"
Un documento dei renziani “contro la conta interna” raccoglie adesioni sulle posizioni di Renzi sull’intesa con il M5s (e quindi comincia la conta). Dall’altra parte la proposta dei “non renziani” di votare sul mandato del reggente Maurizio Martina da estendere fino all’assemblea nazionale. Una guerra a bassa intensità fatta di strategie e soprattutto tattiche di respiro brevissimo, con i leader delle correnti impegnati a ritmo costante ed inedito (come per Franceschini), complice qualche iniziativa estemporanea come il sito senzadime.it che ha messo in fila i componenti della direzione pro e anti accordo con i grillini. Un battere e levare di regie occulte, sgambetti, liste di proscrizione.
Il documento renziano sostenuto da tre quarti dei parlamentari
Tra i protagonisti, nonostante tutto, l’ex segretario Matteo Renzi. E’ il suo braccio destro Lorenzo Guerini a diffondere il documento che si concentra su tre punti: niente “conte interne” in direzione, lo “stallo” politico è “frutto dell’irresponsabilità” di M5s e centrodestra e sì al confronto ma niente fiducia “a un governo guidato da Salvini o Di Maio“. Si tratta, precisa Guerini, di “un appello a trovare l’unità” perché lo sforzo dev’essere “solo questo: lavorare per non dividerci, per ricercare invece le ragioni e la forza della nostra unità”. E’ una mossa d’anticipo. La prima conta, infatti, diventa proprio quella sul documento dei renziani che ha l’effetto di saltare a piè pari qualunque esito della direzione del partito in programma domani al Nazareno. Alla Camera il documento che aderisce alle posizioni di Renzi viene firmato da 77 deputati su 111 mentre al Senato le firme sono state 39 su 52. Certo, bisogna distinguere tra renziani ortodossi come Marcucci e i cosiddetti “renzisti“, cioè quelli con una quota di autonomia come Delrio o Richetti. La prova a contrasto è arrivata anche dall’assemblea dei senatori che – presente Renzi – ha eletto per acclamazione, con un applauso, un ufficio di presidenza che per metà è renziano (4 incarichi su 8). Numeri che fanno la fotografia al futuro: qualunque cosa deciderà la direzione, sia chiaro che in Parlamento gli equilibri sono ancora a favore dell’ex premier.
L’ex segretario: “Non usiano pretesti per rompere”
L’altra operazione di Renzi è la battaglia in cui si decide in mano a chi rimarrà il cerino della rottura. Come ai vecchi tempi, si potrebbe dire, quelli con la minoranza di Bersani. Questa volta, però, dall’altra parte ci sono molti pezzi di partito che hanno vinto il congresso insieme a Renzi: AreaDem guidata da Dario Franceschini e Piero Fassino e Sinistra è cambiamento di Maurizio Martina, oltre alle minoranze di Andrea Orlando e Michele Emiliano. L’ex capo del governo, quindi, lascia trapelare attraverso le agenzie un suo ragionamento che più che ai senatori democratici con i quali parla appare chiaramente destinato all’opinione pubblica: dice di sperare che “non vogliano cogliere pretesti per rompere” (il soggetto implicito sono i non renziani), ribadisce il no a un accordo con i Cinquestelle e auspica “che la direzione si chiuda in maniera unitaria, senza strappi”. Non capisce “come si possa pensare a un accordo di governo con il M5s”, mostrandosi “sorpreso” dalla reazione nel partito all’intervista a Fazio. “Non mi sarei aspettato – è il senso del ragionamento – reazioni di questo tipo: è pazzesca la pretesa che non possa più dire la mia. Non possono pensare che, da senatore, io la smetta di dire quello che penso”.
Franceschini: “Vuole l’unità? Allora dia fiducia a Martina”
Tutte le componenti che non fanno capo a Renzi rispondono in qualche modo e chiedono un voto “di fiducia” sul mandato del reggente Martina. E’ un rimescolamento delle carte, degli uomini in campo. Diventa simbolico vedere chi ha firmato (i capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio, Carlo Calenda), chi non ha firmato (Matteo Richetti), chi è rimasto in silenzio (il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni) e chi ha criticato il documento, come Luciano Pizzetti, sottosegretario che per anni è stato il braccio destro di Maria Elena Boschi nelle battaglie parlamentari per le riforme costituzionali e per la legge elettorale. Per tutti, alla fine, parla il ministro uscente Dario Franceschini. “Sì, ho letto che Renzi spera nell’unità del partito domani in direzione – risponde da Montecitorio – Anch’io, ovviamente. L’unità si può costruire facilmente, anche passando dalla chiarezza di un confronto politico, ma partendo da un voto esplicito di fiducia della direzione al segretario reggente. E sono certo che Renzi, che ha a cuore come tutti noi l’unità del Pd, sarà il primo a votare la fiducia al suo ex vicesegretario”. Non è più una questione di un rapporto coi Cinquestelle, precisa, dopo l’intervista di Renzi e le “conseguenti reazioni di Di Maio”. Piuttosto ora “si tratta di restituire autorevolezza al partito nel percorso delle consultazioni“. Perché quando sarà finita questa lite quotidiana dentro al Pd, venerdì, a parlare sarà di nuovo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.