Rimonta sì, ma niente miracolo: quelli succedono una volta sola e la Roma – a un passo dall’impresa – lo aveva già compiuto contro il Barcellona. In finale di Champions League ci va il Liverpool, sconfitto 4-2 ma in maniera indolore, capace di passare in fondo senza troppi patemi la prova del ritorno grazie ai gol nel primo tempo di Manè e Wijnaldum, rimontati solo alla fine da Dzeko e Nainggolan. Saranno i Reds di Jurgen Klopp a sfidare a Kiev l’invincibile Real Madrid di Zidane, ma i giallorossi escono tra gli applausi con un’altra prestazione forse non perfetta, ma comunque da brividi.
All’Olimpico finisce 4-2, al termine di una partita folle, ma non come avrebbe voluto Di Francesco: tra difese imbarazzanti, disimpegni sbagliati, autogol e svarioni arbitrali, la semifinale di ritorno è stata una girandola di emozioni che alla fine ha premiato la squadra più forte, o che se non altro partiva da un vantaggio più che rassicurante. Nel punteggio i giallorossi si sono fermati a un passo dal pareggiare il 5-2 dell’andata e trascinare la sfida ai supplementari, ma di fatto la qualificazione non è mai stata in bilico, perché la Roma si è ritrovata a dover inseguire anche stasera, quando invece avrebbe dovuto mettere subito sotto gli inglesi. È bastato un banale retropassaggio sbagliato da Nainggolan a inizio match per chiudere i giochi prima che si potessero eventualmente riaprire: contropiede perfetto orchestrato da Firmino e concluso da Manè, Olimpico gelato proprio quando cominciava a scaldarsi.
I giallorossi a quel punto avrebbero dovuto segnarne addirittura quattro. La partita non è finita lì solo perché il Liverpool uno se l’è fatto subito da solo, con un clamoroso autogol di Milner, colpito in faccia da una pallonata di Lovren. Ma è stato solo un episodio, perché per tutto il primo tempo gli inglesi hanno confermato quello che si era visto all’andata, cioè di poter colpire a piacimento la difesa della Roma, in contropiede o con manovra avvolgente, al centro o sugli esterni, palla a terra o col gioco aereo. Stavolta pure senza Salah, fischiatissimo per timore più che per odio, frenato dalla marcatura di Manolas e forse pure da un pizzico di nostalgia della Capitale. In compenso Manè si è rivelato imprendibile per Florenzi, e da lì sono nate tutte le occasioni inglesi. Anche l’angolo da cui è scaturito il raddoppio in mischia di Wijnaldum, che ha riportato i Reds a distanza abissale.
Nonostante lo svantaggio, però, la giostra impazzita della partita è andata avanti fino al 90’ e oltre, grazie soprattutto alla voglia dei padroni di casa: se i ragazzi di Di Francesco hanno avuto un merito stasera, è stato quello di crederci anche quando era diventata effettivamente impossibile. El Shaarawy ha colpito un palo prima dell’intervallo, Dzeko ha pareggiato a inizio ripresa su una respinta corta di Karius. La speranza, almeno nei supplementari, avrebbe potuto davvero riaccendersi se l’arbitro avesse assegnato nel momento migliore dei giallorossi un rigore piuttosto netto per un fallo di mano di Alexander-Arnold. Ma il contatto è molto ravvicinato, Skomina non l’ha visto o comunque non ha fischiato. E così il gol del 3-2, con un bel destro da fuori di Nainggolan, è arrivato solo nei minuti finali: troppo tardi, come il rigore (stavolta inesistente) del 4-2 finale, in pieno recupero, subito prima del triplice fischio che manda i Reds a Kiev e i giallorossi a consolarsi sotto la loro curva.
C’è un altro Liverpool, dunque, nella storia della Roma: 34 anni dopo l’indimenticabile finale di Coppa dei Campioni persa in casa ai calci di rigore, la Roma si arrende di nuovo agli inglesi. La stessa delusione collettiva vissuta dai padri e tramandata di generazione in generazione nella Capitale, adesso appartiene anche ai figli. Ma stavolta con più orgoglio per essere arrivati fino a qui che rimpianti per la sconfitta, come dimostra anche l’applauso finale di tutto lo stadio. Resta comunque un grande traguardo, e il ricordo altrettanto indimenticabile della rimonta contro il Barça. Adesso bisogna solo lavorare perché per la prossima semifinale non passino altri 34 anni, con o senza Liverpool.