Robert Mueller ha fatto presente agli avvocati di Donald Trump che potrebbe emettere un mandato per far interrogare il presidente americano. Lo ha rivelato il Washington Post, riferendo di un incontro all’inizio di marzo fra il procuratore speciale del Russiagate e gli avvocati del tycoon. La mossa del magistrato per portare Trump davanti a un grand jury scatenerebbe un conflitto davanti alla Corte suprema statunitense.

Nell’incontro di inizio marzo, racconta il Washington Post, i legali di Trump avrebbero ribadito che il presidente non ha alcun obbligo di parlare con gli investigatori federali nell’indagine sulle interferenze russe nelle presidenziali Usa. Ma Mueller avrebbe risposto che aveva un’altra opzione in caso di rifiuto: emettere un mandato per far apparire il presidente davanti ad un grand jury. Un monito che avrebbe suscitato una dura replica da John Dowd, all’epoca l’avvocato leader del team difensivo.

“Questo non è un gioco. Stai facendo perdere tempo al presidente degli Stati Uniti”, avrebbe detto l’ex legale di Trump, dimessosi poi dopo un confronto accesso con i colleghi su come gestire la richiesta di interrogatorio. Mueller comunque avrebbe fornito ai difensori di Trump informazioni più specifiche sui temi dell’interrogatorio. Dettagli con cui l’avvocato Jay Sekulow avrebbe compilato una lista di 49 domande che il team legale ritiene saranno fatte al tycoon.

Il capo della Casa Bianca, intanto, è tornato alla carica contro l’inchiesta con un tweet in cui parla di “sistema corrotto“, accusa che sembra coinvolgere anche il dipartimento di Giustizia, e minaccia un’azione esecutiva. “Non vogliono consegnare i documenti al Congresso. Di cosa hanno paura? Perché tutti questi omissis? Perché una ‘giustizia’ così ineguale?”, scrive il presidente nel tweet in cui fa riferimento alla polemica in corso tra deputati conservatori e il vice ministro della Giustizia Rod Rosenstein che si rifiuta di consegnare loro documenti relativi al Russiagate ed al mailgate.

“Ad un certo punto non avrò altra scelte che usare i poteri concessi al presidente ed entrare in campo“, conclude il tweet di Trump, ventilando quindi la possibilità di una sua azione nella disputa che ha spinto alcuni deputati anche a preparare una bozza per richiedere la procedura del Congresso per la rimozione di Rosenstein – che ha la supervisione dell’inchiesta sul Russiagate condotta da Mueller – dall’incarico.

L’ennesimo tweet di Trump è stato interpretato a Washington come una dura replica di Trump al vice ministro Rosenstein che ai giornalisti ieri ha detto che le “il dipartimento di Giustizia non cederà ai ricatti” riferendosi alle “minacce” che da più parti e da diverso tempo gli vengono rivolte. La frase apparentemente rivolta ai deputati repubblicani al centro della disputa, era stata però interpretata da molti anche come un riferimento del magistrato alla pioggia di attacchi, pubblici e privati, che da mesi gli lancia Trump perché, in qualità di supervisore del Russiagate, Rosenstein non ha mai fatto mancare la sua fiducia a Mueller.

Se la prima parte del tweet di Trump appare abbastanza chiara nel riferirsi al rifiuto comunicato lunedì dal dipartimento di Giustizia ai deputati del Grand Old Party di consegnare una copia senza omisssis del memo in cui viene dettagliata la portata dell’inchiesta di Mueller, più oscura rimane invece la seconda in cui Trump evoca il ricorso ai poteri presidenziali.

Come i media americani ricordano da mesi, Trump non può licenziare direttamente Mueller, ma dovrebbe prima rimuovere Rosenstein dall’incarico per nominare un nuovo vice attorney general disposto a silurare il procuratore speciale. La mossa però potrebbe essere un azzardo, come ricorda la storia di quello che in America è passato alla storia come il Saturday Night Massacre, quando Richard Nixon, assediato ormai dall’inchiesta del Watergate, nella notte di sabato 20 ottobre 1973 ordinò all’allora ministro della Giustizia, Elliot Richardson, di licenziare lo special prosecutor, Archibald Cox, Richardson si rifiutò e si dimise con effetto immediato ed a questo punto Nixon rivolse lo stesso ordine al vice ministro, William Ruckelshaus, che oppose lo stesso rifiuto e si dimise.

Fu poi il numero 3 del dipartimento a licenziare Cox, ma la mossa non aiutò il presidente Nixon, anzi. Dopo 11 giorni di furore politico e dei media, fu nominato un nuovo special prosecutor, Leon Jawrosky. E tutti sanno come la storia andò a finire, con l’impeachment e le dimissioni di Nixon per evitare il processo.

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