Torna libera Rosaria Mancuso, la donna di 63 anni parente dei boss di Limbadi, nei cui terreni i carabinieri hanno trovato un revolver, un fucile a pompa, centinaia di munizioni, un caricatore e un kit per la pulizia delle armi. Il gip di Vibo Valentia, Grazia Maria Monaco, ha rigettato la richiesta di arresto avanzata dalla procura dopo la perquisizione effettuata dai carabinieri. Il nome dei Mancuso è salito agli onori della cronaca dopo l’autobomba esplosa il 9 aprile che ha ucciso Matteo Vinci. Dal primo momento, infatti, la madre della vittima ha collegato l’attentato (in cui è rimasto ferito anche il marito) ai problemi di vicinato con la famiglia di Rosaria Mancuso.
Quest’ultima, in merito all’accusa di detenzione illegale di armi (che non è collegata con l’indagine sull’autobomba), interrogata dal gip ha “negato di occuparsi della campagna per via di una malattia cardiaca per la quale le è stato consigliato dai medici uno stile di vita più pacato e senza sforzi”. Con il marito agli arresti domiciliari (sempre per possesso illegale di un fucile), Rosaria Mancuso si occuperebbe solo del pollaio che si trova nel terreno dove i carabinieri hanno trovato le armi. L’appezzamento è intestato alla donna ma non è recintato e questo secondo il gip comporta che non c’è “un solo elemento da cui inferire in concreto la detenzione, in capo alla Mancuso, delle armi trovate”. La pistola, il fucile a pompa e le munizioni, infatti, si trovavano in “terreni – scrive il gip nel suo provvedimento di scarcerazione – accessibili anche ad altri. Il dato, poi, che il marito Di Grillo Domenico, sia stato tratto in arresto il 9 aprile proprio per il rinvenimento di un fucile a canne sovrapposte con matricola punzonata, depone per l’idea che le armi possano essere state detenute dal consorte e che le stesse, nella precedente perquisizione, non fossero state trovate”. Secondo il gip, in sostanza, nei confronti di Rosaria Mancuso non è stato raggiunto “lo standard di gravità indiziaria” per procedere all’arresto.