“Quando dico che sono uno storico dell’arte le persone pensano che debba recitare la mia parte in un tour guidato. Ti assicuro che non è così”. Nicola Nitido ha 24 anni, da 5 ha lasciato la sua Napoli e l’Italia ed è da poco rientrato da Anversa, dove ha concluso la traineeship finanziata da un’università spagnola. “Mi trovo in difficoltà innanzitutto perché la mia carriera non è concepita – racconta –. Gli spagnoli sono sorpresi di vedere un italiano trasferito per studiare e lavorare all’estero. In un settore, poi, come il mio”.
Nicola ha lasciato l’Italia nel 2013, nonostante un braccio di ferro con la madre, contraria alla sua scelta andarsene. “Sono partito per una sfida personale, per capire i miei limiti e le mie possibilità”, ricorda. In Spagna Nicola ha ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’Arte, studiando, facendo un tirocinio curriculare e lavorando part-time per mantenersi. “A Madrid uscivo di casa di mattina presto, per tornare quando oramai era notte. Ma non mi lasciavo scappare la possibilità di andare a teatro, al cinema o in giro per i musei”. Quasi l’opposto di Anversa, dove tutte le attività si confacevano all’orario di ufficio: “E visto che i negozi chiudevano alle 17 c’era tempo per dedicarsi allo sport o a corsi specialistici”, aggiunge.
Dopo una laurea triennale al Dams, una magistrale in storia dell’Arte a Madrid e una in Museologia e Gestione del patrimonio Nicola è arrivato ad Anversa grazie al programma Erasmus + avendo sviluppato la tesi di laurea sulla casa museo di Rubens. Ma le cose non sono andate come previsto. “La carriera di uno storico dell’arte non è concepita – racconta Nicola –. Vorrei solo alzare la voce per un campo, il nostro, molto di nicchia. Purtroppo si pensa che lo storico dell’arte non sia una professione, come se venisse mancata di dignità – continua –. Banalmente viene ridotta a mera guida turistica. Ma non è così: è anche la visita costante dei nostri musei, del nostro patrimonio culturale. È anche trovare un filo, un collegamento tra le opere d’arte, andare in profondità”.
Va detto: nel Paese con il più grande patrimonio Unesco al mondo, il nostro, non esiste una continuità professionale nel settore della Storia dell’Arte. “A meno che – spiega Nicola – tu non sia figlio di qualche personalità importante”. Per questo, insieme ad alcuni studenti, ricercatori e professionisti del settore, Nicola ha costituito un gruppo con l’obiettivo di riscattare “il diritto a questa professione abbandonata e meno fortunata rispetto alle altre”.
Spesso il ricercatore napoletano è stato costretto a spiegare ai suoi colleghi e direttori spagnoli che sì, quella di trasferirsi in Spagna era una sua scelta chiara e precisa dettata dall’intenzione di continuare gli studi nel suo settore. “Purtroppo è vero. Mi è capitato più di una volta, e anche in contesti diversi: gli spagnoli erano sorpresi di vedere un italiano nel mio campo trasferito per studiare e lavorare all’estero”.
Differenze tra il sistema universitario italiano e quello europeo? “L’università italiana si mantiene ancora distinta dagli altri modelli: qui in Spagna c’è totale assenza di oralità. Di fatto ogni esame si passa scrivendo una tesina e lavorando in gruppo”. Il problema sta anche nella preparazione universitaria. “Al di là dei pochi fondi per gli Atenei, e quindi per la ricerca, il grande problema è creare corsi di studio con pochissime possibilità concrete, una volta compiuto”. Per Nicola è in ballo, così, “anche la stessa motivazione di un ricercatore”.
Lavorare stabilmente in Italia? “Per il momento sono un cittadino dell’Europa. Se c’è una cosa sicura al mondo, per noi, è che abbiamo pochissime certezze – continua – Non voglio lamentarmi del mio Paese, ma bisogna essere consapevoli della realtà che ci circonda. Se avessi una bacchetta magica farei in modo che il nostro patrimonio fosse conosciuto e riconosciuto, valorizzato e protetto dai cittadini, che ne sono i primi fruitori”.
Una volta tornato da Anversa Nicola passa le giornate a casa, mandando curriculum, aggiornando newsletter, passando ore davanti ad uno schermo. “Spero, insomma, di capitare nel posto giusto al momento giusto”. Prima di concludere. “Il mio rapporto con l’Italia è paragonabile a quello di un figlio che richiede – e sta aspettando – qualche meritata attenzione. Ma questa madre è già occupata a pensare a molti altri suoi figli”.