di Conrado de Vita

Da ignorante quale sono e da novello padre, mi affascina ancora da lontano – in senso negativo, è ovvio – il fenomeno del bullismo apparentemente crescente a macchia d’olio nelle scuole superiori italiane. Ne ho sentite e lette molte, in questi giorni: da chi propone di vietare il cellulare a scuola a chi parla di insulto a pubblico ufficiale. Ma con il punto in comune di rischiare di cadere in una retorica vuota e fine a se stessa, alla quale i ragazzi – glielo dobbiamo, sono più creativi di noi e sarebbe spaventoso il contrario – non faticheranno a trovare una soluzione onde aggirare la norma.

Ebbene, il bullismo si pone ormai come piaga sociale, alla pari della guida in stato di ebbrezza o di quello che fu il fumo nei locali pubblici. Problemi oggi non dico risolti, ma se non altro contenuti con un metodo molto semplice: colpendo il portafogli.

I comportamenti scorretti al volante (ebbrezza, cinture slacciate, limiti di velocità superati) sono forse l’esempio più chiaro del fatto che la paura di dover pagare è sempre il deterrente migliore. Per quanto se ne dibatta degli autovelox a tradimento, dei vigili nascosti o delle multe per “fare cassa”, la realtà è che se non corri, se hai le cinture, se non esageri coi bicchieri mica ti succede nulla. Altrimenti paghi. Soldi, patente, libertà personale. Così funziona, così minimizziamo il problema.

Lo stesso per il fumo e diamo atto a B. della legge del 2003, forse l’unica legge seria mai proposta da un suo governo. Chi discuterebbe mai sul fatto che non si fuma nei luoghi pubblici, oggi? Almeno al chiuso, stiamo sereni. Quando poi riusciremo a farlo rispettare anche nelle spiagge, sarò più contento.

Torniamo al bullismo. Per quante ne dica Michele Serra – col quale in fondo concordo parzialmente – vi è sicuramente un problema educativo di fondo: la scuola-servizio ci ha consegnato non solo più alunni maleducati, ma la normalità di una famiglia che non deve più educare i propri figli, delegando il tutto all’istituto. È inutile voler correggere in corso d’opera questa problematica attraverso la regolamentazione della vita scolastica, se il problema vero risiede tra le mura domestiche. Nei famigerati Itis ci sono studenti come quelli di Lucca e ci sono studenti da 100 e lode, per quante ne dica Serra.

Per cui si prenda il fenomeno del bullismo per le corna. Lo si renda un problema da risolvere, si responsabilizzino le famiglie come si farebbe in una società sana. Si definisca per legge che cosa costituisce l’atto di bullismo e si stabilisca un range di sanzione amministrativa da far pagare al genitore. Senza margini di ricorso. I cattivi genitori potranno non capire gli insegnanti, i presidi, i tempi duri che viviamo: ma capiranno sicuramente se gli tocchi il portafoglio, proprio come gli autisti spericolati e i fumatori incalliti.

Si diano multe e si revochino gli aiuti di Stato a chi si macchia di atti di bullismo contro insegnanti, compagni o chicchessia. E per i casi gravi, si arrivi alle soluzioni in stile “solitaria”, con l’assunzione di un insegnante di sostegno – sempre a carico obbligatorio della famiglia in questione – che faccia portare a termine il ciclo scolastico del piccolo deviato in “isolamento”, nel rispetto di chi invece a scuola si impegna nello studio e nel rispetto altrui. Creando anche un po’ di occupazione, finanziata da privati.

Ma ciò non si fa se non si accompagna un piano vero di sostegno alle famiglie, che sicuramente delegano molto a nonni e insegnanti in quanto uno Stato sociale a parole e liberista nei fatti li addita chi non fa figli – il Fertility day di Beatrice Lorenzin resterà negli annali – ma lascia soli (con le pezze al didietro per dirla col saggio) chi li fa.

Il problema non sono i soldi, ma i soldi risolvono il problema. Sia quando li dai, sia quando li togli.

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