Nell’odierno deserto del capitalismo globalizzato, Karl Marx ha assunto le sembianze di un naufrago che, in seguito a una miriade di naufragi, è approdato su un’isola deserta: è sopravvissuto alla sua incorporazione prima nel marxismo commissionato dalla socialdemocrazia tedesca, poi nel leninismo forgiato da Iosif Stalin tra il 1924 ed il 1926, infine all’odierna criminalizzazione ininterrotta di cui è oggetto il suo pensiero.
Tale sopravvivenza si spiega in ragione del fatto che Marx continua a essere il “segnalatore” di un problema irrisolto che non ha smesso di perseguitarci . Il suo pensiero non cessa di indicarci che nel mondo della presunta “fine della storia” qualcosa, dopo tutto, continua a mancare. È quanto ho più estesamente sostenuto nel mio libro Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario (Bompiani, 2009).
Chi si ostinasse a interpretare le vicende storiche odierne con le sole lenti interpretative marxiane capirebbe sicuramente ben poco, non riuscendo a rendere conto di eventi che, per forza di cose, non potevano essere previsti da Marx; ma è altrettanto vero che chi rifiutasse di indossare anche quelle lenti non riuscirebbe a capire alcunché dell’oggi e dei suoi sconvolgimenti. In questo senso, nonostante il venir meno del marxismo e dei comunismi, Marx continua a essere (paradossalmente) un nostro contemporaneo ed è per questo motivo che, se non ha alcun senso voler nostalgicamente tornare a Marx, può tuttavia avere un senso ripartire da Marx. Lo esige anche il fatto che il mondo da lui sottoposto a critica è – nonostante i mutamenti radicali e le novità succedutesi con grande rapidità – il nostro mondo, il mondo del modo di produzione capitalistico, in cui la produzione assume la forma di una gigantesca macchina autoreferenziale e finalizzata a obiettivi del tutto irrazionali quali la produzione di merci e la valorizzazione del valore fine a se stesso.
Non si può capire l’epoca moderna (questa è la conseguenza) senza passare attraverso Marx. Studiando la storia dal suo “lato cattivo”, egli smaschera la mal celata “ideologia” di chi concepisce – ieri come oggi – il corso storico come corsa unilineare verso le “magnifiche sorti e progressive”, come una pacifica evoluzione irenica verso il meglio, di chi trascura il momento materiale, di chi annulla le specificità di ogni epoca immaginando che le leggi del modo di produzione capitalistico siano eterne e, per ciò stesso, insuperabili.
In questo programma si condensa il senso della formula “ripartire da Marx” a cui prima si alludeva. Catalizzando il senso generale secondo cui, anche nell’epoca della fine della storia, qualcosa continua a mancare, la figura di Marx – la cui presenza si dà oggi per absentiam – si eleva a sineddoche delle due determinazioni irrinunciabili del rifiuto incondizionato del presente come destino e della ricerca di un riscatto per le offese non redente che si sono accumulate nella storia e che oggi sembrano aver raggiunto il loro grado massimo. Per questo, Marx è, per l’egemonia del pensiero unico, l’equivalente delle mani insanguinate di Lady Macbeth, un’ossessione che non può mai essere congedata in via definitiva.