In realtà è una di quelle scene che come tutti voi, credo, ho visto mille volte. Al cinema, o in tv. Un interrogatorio. Con il detenuto, un poliziotto gentile e un poliziotto brusco, invece, duro. Il solito gioco, no? Good cop, bad cop, in questo ufficio come tutti gli uffici, con la bacheca al muro e la scrivania cosparsa di carte. Il caffè nel bicchiere tipo Starbucks. E però quella lì in mezzo, ora, è Ahed Tamimi. E non ho mai visto niente di simile.
Ha 16 anni, anzi, 17 compiuti a gennaio e probabilmente neppure ricordate chi è. Perché queste storie funzionano così, sono tante, in tutto il mondo e tutte uguali; oggi finisce in carcere un’attivista palestinese, domani un giornalista turco, un avvocato egiziano e la notizia è rapidamente sostituita dalla notizia del caso successivo. Ahed Tamimi è quella ragazzina con i capelli biondi e ricci e gli occhi chiari arrestata per uno schiaffo a un soldato israeliano. A dicembre. “Assalto alle forze di sicurezza”. Sta scontando una condanna a 8 mesi.
Come molti altri giornalisti, sono stata tutto gennaio in giro per la West Bank a raccontare la sua storia. Perché non è solo la sua storia, in realtà: è un po’ la storia di israeliani e palestinesi oggi. Con gli israeliani isterici: perché Ahed Tamimi gli sembra una figlia, una nipote e smonta (no?) questa retorica degli arabi tutti terroristi. Ma anche con il mondo certo di una nuova Intifada e i palestinesi, invece, critici o scettici o indifferenti: perché quello schiaffo è inutile, ti dicono, o è controproducente o non è così rilevante, a pensarci, nemmeno così speciale e (comunque) che senso ha? Ti dicono. Finire in carcere per una resistenza che non ha più leader. Più strategia.
E insomma, sono stata nella West Bank tutto gennaio. Ad ascoltare decine, e decine di opinioni. Ma Ahed Tamimi mi sta qui davanti, ora, in questo filmato del suo interrogatorio, di uno dei suoi tanti interrogatori, con i suoi occhi blu e un maglione bianco, e i capelli legati, minuta, e tace. Tace e dice solo: “Ho il diritto di non rispondere”. Uno dei due poliziotti (il duro) prova a intimidirla e la incalza, aggressivo, alza la voce e lei tace. Tace e dice solo: “Ho il diritto di non rispondere”.
A un certo punto, le mostrano un video che non si vede ma si sente. Si sente l’audio. Urla. Urla anche di bambini. E deve trattarsi di suoi familiari o di suoi amici, si intuisce dal suo sguardo. Sono persone che conosce. Se non cooperi, le dicono, arrestiamo tutti. Non ci costringere, è questo che vuoi? Ma lei tace. Tace e dice solo: “Ho il diritto non rispondere”. Impassibile.
Per un’ora e più, sta lì: e neppure cambia espressione. Ha 17 anni e sta lì sola contro Israele. E neppure cambia espressione. E giuro. Non ho mai visto una cosa così. Mai. Ti entra dentro. Ed è anche per quello sfondo. Quell’ufficio. Che è davvero un ufficio come mille altri. E quei due poliziotti, che sono davvero due poliziotti qualsiasi. E hanno timbrato il cartellino la mattina e – tra una pratica e l’altra – hanno torchiato un po’ una ragazzina e poi – dopo otto ore, a fine turno – hanno timbrato di nuovo il cartellino e sono tornati a casa. Ed è la banalità del male, sì. Ma a cui si salda anche la banalità dell’indifferenza: con tutti quei palestinesi, a gennaio, che calcolavano cosa è utile, e cosa no. E quanto. Con quel cinismo travestito da realismo. Da lungimiranza. E in mezzo, però, ora, Ahed Tamimi. Che ha 17 anni e se ne frega se è utile: perché intanto è giusto. E sta lì.
Il padre una volta è finito in coma tanto è stato torturato, la madre zoppica perché le hanno sparato, l’esercito ha ucciso due dei suoi zii, arrestato mezza famiglia e – mezz’ora prima di quello schiaffo – era finito in coma anche suo cugino, per un proiettile in testa; ma lei sta lì: e neppure cambia mai espressione. E ti entra dentro. Più forte di qualsiasi razzo di Hamas. Lì ferma, semplicemente, ferma a pensare a cosa è più giusto mentre noi pensiamo a cosa è più utile, cosa è più sensato. E guardi il filmato e all’improvviso è come se guardassi la storia. Ma la storia come sarà guardata tra un secolo, come sarà giudicata: e ti vedi lì in mezzo, mentre anche tu cercavi di capire, di analizzare, di misurare, ponderare l’utile e l’inutile e ti dicevi che eri saggio e, invece, la verità è che non avevi abbastanza coraggio, perché cosa altro c’è da capire?
Sono stata lì tutto gennaio. Perché non ho tirato anch’io uno schiaffo a un soldato? E ora, ai tanti soldati che pattugliano la nostre vite?